Ex sovietici e africani: la grande retromarcia

Di Tempi
20 Settembre 2000
Grafico della Settimana

Al “Summit del millennio” della settimana scorsa all’Onu molti capi di Stato hanno preso la parola per esortare la comunità internazionale alla lotta contro la povertà. Ma nessuno di loro ha richiamato l’attenzione dell’uditorio su una situazione che non si era mai verificata prima a memoria di statistico: nel decennio scarso che corre fra il 1990 e il 1998 ben 22 paesi del mondo hanno conosciuto un deterioramento del loro Isu, l’indice di sviluppo umano. Questa misurazione del benessere di un paese, che da 11 anni il Pnud, Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, propone come strumento per soppesare progressi e regressi mondiali e nazionali in materia di sviluppo, risulta dalla media ponderata (in millesimi) di reddito annuale pro capite, speranza di vita alla nascita e tasso di alfabetizzazione degli adulti.

Una flessione dell’indice nell’arco di un decennio è sempre stato un evento estremamente raro; nel decennio ’80-90 si è verificata soltanto in tre paesi: Romania, Guyana e Zambia. Cosa è successo di così catastrofico negli ultimi anni che separano dalla fine del secolo per invertire la tendenza alla lenta ma stabile crescita che aveva fino a quel momento caratterizzato l’Isu? Per darsi una risposta basta scorrere la lista dei 22 stati in questione. Si scoprirà che, nella metà dei casi si tratta di stati nati dalla frammentazione dell’ex Unione Sovietica, e nell’altra metà si tratta di stati dell’Africa nera e di due paesi ex comunisti dell’Est europeo (Bulgaria e Romania).

La diagnosi non è dunque difficile: non tanto la caduta del Muro di Berlino e la fine del comunismo, quanto il precipitoso scioglimento dell’Unione Sovietica senza nessun meccanismo compensativo e paracadute istituzionale sostitutivo ha innescato la regressione che è sotto gli occhi di tutti. Mentre tutti gli stati nati dal collasso sovietico stanno peggio oggi di ieri, fra i paesi dell’Est europeo già comunisti solo quello più legato a Mosca (la Bulgaria) e quello più dittatoriale (la Romania che fu di Ceausescu) seguono lo stesso trend.

Nel caso dei paesi africani le devastazioni dell’Aids (Botswana, Namibia, Sudafrica, Zambia) paiono combinarsi a quelle di guerre recenti (Burundi, Rep. Dem. Congo) e a quelle dell’incompetenza e corruzione generalizzata dei sistemi politici (Kenya, Zimbabwe, Centrafrica). Ma sullo sfondo c’è anche il prosciugamento degli aiuti internazionali che tenevano assistenzialmente a galla molti paesi negli anni della Guerra fredda, interrotti dopo la conclusione di quest’ultima per il venir meno dell’esigenza strategica di tenere in piedi regimi “amici”. Ma anche queste considerazioni a New York nessuno ha avuto voglia di farle.

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