
Evitagli anche di soffrire
Mio caro Malacoda, vorrei chiarirti le idee circa la questione del dolore, perché, se sapientemente manipolata è la nostra arma migliore. Essendo alcune domande inevitabili, l’uomo ideale per noi è quello che non se le pone, tutto sta nell’ordine delle domande e nella modalità della loro formulazione. Contrariamente a quanto molti pensano, non tutte le domande sono lecite, nel senso di vere, e molte domande non sono accettabili proprio perché non sono domande, ma risposte camuffate. È infatti raro che chi pone una domanda non abbia già in mente una risposta, o quel tipo di risposta che postula l’inesistenza della risposta, tu devi solo favorire questo aspetto retorico e formale della questione. Un uomo adulto di solito non chiede sul serio perché non è preventivamente disposto ad accettare, non la risposta, ma di non sapere veramente quale sia la risposta. Insomma, non vuole sorprese, e il mistero tiene troppo sospesi. La domanda implica vera apertura e disponibilità, cioè ammissione di ignoranza, e non è una figura che l’uomo moderno possa permettersi. La domanda sul dolore, per venire all’argomento del giorno, implica l’accettazione dell’esistenza del problema, non la volontà della sua cancellazione. «Dio mio perché mi hai abbandonato?» non si è concluso con la discesa dalla croce e le scuse dei centurioni. Il “perché?” davanti alla sofferenza presuppone l’accettazione dell’esistenza; l’esistente che soffre prima di soffrire c’è. C’è, cioè nasce, è amato, gioisce e fa gioire, spera e fa sperare, sorride e fa sorridere, gioca, intenerisce, cresce e fa crescere, soffre e fa soffrire. Il primo e originale “perché?” è di fronte alla vita, non di fronte alla sua negazione (o condizione?) che è la sofferenza.
Ti dicevo che è importante l’ordine con cui emergono le domande, perché è questo ordine che va fatto saltare, temporalmente e logicamente. Perché non accettare il dolore vuol dire non accettare il mondo così com’è fatto, con l’alto e il basso, il sopra e il sotto, il bello e il brutto, il buono e il cattivo e soprattutto sognarne uno talmente perfetto da rendere superfluo all’uomo di essere libero. È meravigliosa quella domanda: “Perché Dio, che è buono (e che notoriamente non esiste, ndr) ha creato il male e fa soffrire i bambini innocenti dell’Africa che vivono nelle bidonville, come ho visto l’altra sera in un documentario alla tv?”. Non si chiedono perché Dio permette loro di stare davanti alla tv a guardare i bambini africani che cercano cibo tra i rifiuti. Ma questo non è dolore, è raccapriccio di fronte allo spettacolo della sofferenza, paura di fronte alla vergogna del male, alle schifezze della storia, una forma di consacrazione dell’egoismo, non dolore. Il dolore è sempre e solo sintomo di un amore. Il dolore è misterioso perché l’amore è un mistero. Il dolore che ferisce il cuore e impegna la libertà è l’estrema risposta tentata di fronte al non essere, ad esempio al non essere più di qualcuno, alla morte. Il dolore è domanda di senso, non ricerca di un colpevole, anche perché per scoprire il colpevole basta uno specchio. Il dolore degli innocenti è raro, forse è unico. Hai sempre pensato di dover evitare all’uomo l’esperienza della gioia, devi evitargli anche quella del vero dolore, potrebbe iniziare a convertirsi.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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