
L’Europa di fronte alla guerra in Ucraina, tra orrore e autocompiacimento

Nelle prime settimane della brutale e inaspettata invasione russa dell’Ucraina che ha cambiato il mondo, le classi dirigenti europee sono apparse animate da due sentimenti contrastanti ma strettamente legati.
L’orrore nei confronti dell’aggressione russa
Il primo è il giustificato orrore nei confronti di un atto di aggressione che richiama alla memoria alcuni degli episodi più bui della storia europea novecentesca, quando le tirannidi imperanti cancellavano con la forza la libertà, e talvolta l’esistenza, di interi popoli. Già allora l’Ucraina aveva pagato un altissimo tributo di sangue, e dunque a maggior ragione deve indignare il supplizio a cui si trova ora nuovamente sottoposta.
Tuttavia, per quanto emotivamente giustificato e moralmente sacrosanto, l’orrore europeo è anche il frutto di una ingenua mentalità post-storica troppo a lungo invalsa nelle nostre società e che ci rende ora cronicamente incapaci non dico di gestire ma anche solo di concepire i tragici dilemmi morali cui il ritorno della politica di potenza nel mondo multipolare sempre più ci sottoporrà.
Essa ha ottuso, forse in maniera irreparabile, il nostro senso del male e del tragico come presenze inestirpabili nella storia e nella vita del genere umano, “massa dannata” di creature segnate dal peccato originale (in una prospettiva cristiana e agostiniana), oppure “legno storto” impossibile da raddrizzare una volta per tutte (da un punto di vista più liberale e kantiano).
Non a caso il presidente francese Emmanuel Macron, che cerca invano da anni di risvegliare il vecchio continente dal suo torpore strategico e geopolitico, evoca spesso «il ritorno del tragico nella storia» nei suoi discorsi delle ultime settimane.
Il rischio dell’autocompiacimento narcisistico
Questa mentalità post-storica si evince anche dall’opinione, diffusissima e costantemente espressa a tutti i livelli, che l’iniziativa bellica di Putin non rappresenti una manifestazione del male connaturato alla natura umana (e il cui arginamento è appunto uno dei compiti precipui della buona politica), ma invece una sorta di devianza dai corretti dettami della ragione che lo rende retrogrado, ottocentesco, disumano e fuori dal mondo, se non addirittura “pazzo” in senso banalmente clinico.
Come se la guerra fosse per forza retrograda e la pace necessariamente moderna. In realtà, come ci hanno insegnato grandi interpreti del moderno quali Hannah Arendt, Eric Voegelin, Max Horkheimer e Theodor Adorno, è proprio la modernità post-illuministica ad aver partorito le forme più brutali e omicide di violenza organizzata e di ordine politico.
Si tratta di un atteggiamento tanto più pericoloso perché, oltre all’orrore moralistico, incoraggia anche un certo autocompiacimento narcisistico, entrambi pessimi consiglieri in materia di scelte strategiche. Se il proprio avversario è pazzo e fuori dal mondo, è lecito ritenere che, in un certo qual modo, egli sia condannato a perdere perché si trova dalla parte sbagliata della storia, le cui demiurgiche forze, per esempio quelle dei grandi mercati finanziari globali, s’incaricheranno presto di rimetterlo in riga.
La fiducia smisurata nelle sanzioni
La fiducia smisurata che l’Occidente ha riposto nelle proprie (pur necessarie) sanzioni, nella loro presunta capacità d’inceppare la macchina bellica russa e persino, in prospettiva, di rovesciare il novello Zar e magari favorire una transizione democratica nel paese, si avvicina in effetti più a una credenza magica che a una seria considerazione strategica, visto che scarseggiano gli esempi storici di guerre impedite o interrotte da sanzioni economiche.
Anche nei corridoi brussellesi un certo autocompiacimento per i durissimi pacchetti di sanzioni approvati e per l’immagine di solida unità che l’Ue ha saputo offrire al mondo era palpabile nelle prime settimane di guerra e non è ancora del tutto svanito. C’è da sperare che i leader europei e occidentali, impegnati in questi giorni in importanti deliberazioni sul sostegno all’Ucraina e sul futuro della sicurezza continentale, se ne liberino quanto prima.
La gestione della guerra e la strategia politica
Ciò servirà innanzitutto a riportare la gestione della guerra sul piano della strategia politica con obiettivi chiari, da quello della mera condanna morale e del sostegno indignato all’aggredito nel suo martirio senza una chiara prospettiva di risoluzione, dove ora si trova. Servirà poi anche a gestire i numerosi fattori di divisione esistenti nell’Unione e nel blocco atlantico che, lungi dall’essere scomparsi, cominciano anzi a riaffiorare pericolosamente.
Per esempio, fino a dove possono spingersi i paesi europei e Nato nel loro sostegno economico e militare all’Ucraina senza rischiare un allargamento della guerra che li coinvolga direttamente? Alcuni membri orientali dell’Ue, Polonia in testa, hanno su questo punto posizioni assai diverse da quelle dei membri occidentali e degli stessi statunitensi.
O ancora: potranno mai i paesi più dipendenti dal gas russo, Germania e Italia in testa, accettare quel blocco anche momentaneo delle forniture energetiche dalla Russia che molti ormai chiedono a gran voce? E, quando le sanzioni cominceranno a mordere sul serio, esiste il rischio che il “fronte interno” dei paesi più colpiti possa dare segni di cedimento, e che questo possa incrinare l’unità europea e atlantica? Tra questi paesi potrebbe esserci anche l’Italia, retta, in un anno elettorale che si prospetta ricco di sgambetti, defezioni e arrembaggi, da un irrequieto governo di unità nazionale con un solo partito all’opposizione.
Europa, serve un sano realismo
E che dire dei vari milioni di rifugiati in arrivo dall’Ucraina? È possibile che l’attuale slancio di solidarietà finisca con l’esaurirsi davanti alle inevitabili difficoltà di assorbimento dei flussi, cedendo il passo a divisioni e risentimenti simili a quelli che rimpiazzarono rapidamente la “Willkommenskultur” dopo le prime settimane della crisi dei migranti nel 2015? E infine, se il massiccio riarmo tedesco verrà confermato e segnerà, come molti, compreso chi scrive, auspicano, il risveglio dell’eterno impero di mezzo dal suo lungo sonno strategico, come reagirà il resto dell’Unione e in che modi e con quali limiti si riuscirà a europeizzare questa nuova potenza risorgente nel cuore del continente?
Ecco solo alcune delle moltissime domande cui occorrerà cominciare a dare risposta nelle prossime settime e nei prossimi mesi. Non ci aiuteranno né il vuoto orrore moralistico né l’autocompiacimento slegato dalle sfide della realtà. Solo un sano realismo animato da solidi princìpi può farlo.
L’autore di questo articolo è Coordinatore della ricerca del Martens Centre for European Studies
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