La conferenza delle Regioni ha approvato ieri all’unanimità le linee guida sulla fecondazione eterologa. Alle donne sterili, fino a 43 anni, sarà garantita l’operazione gratuita o con ticket. La prestazione sarà a carico dei servizi sanitari delle Regioni che, a breve, chiederanno al Governo di inserirla nei livelli essenziali di assistenza. L’approvazione del testo arriva dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale del divieto alla fecondazione eterologa, inserito nella legge 40.
Il documento delle Regioni introduce alcuni vincoli: il colore della pelle del concepito dovrà essere uguale a quello della coppia “ricevente”, la donazione dei gameti sarà gratuita, i figli potranno conoscere il genitore biologico, con il suo benestare, dopo i venticinque anni e i donatori potranno donare al massimo dieci gameti. Il problema? Lo spiega a tempi.it Eugenia Roccella, deputata Ncd: «Non è un testo di legge ma un semplice atto amministrativo. Offre garanzie insufficienti. Difficile immaginare che con le sole linee guida ci saranno sanzioni severe per chi trasgredisce le regole o controlli a tappeto per fare rispettare i limiti». Secondo Roccella, il Parlamento dovrebbe approvare una legge dettagliata. «Ad agosto era già pronto un testo, preparato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin – ricorda Roccella -, ma Renzi e il Consiglio dei ministri l’hanno bocciato, facendo un grande favore alle cliniche private».
Roccella, perché serve una legge? Non bastano le linee guida regionali?
Un atto amministrativo non ha la forza di una legge. Non prevede sanzioni, ma al massimo multe. Sarà problematico garantire l’efficacia del documento. Il settore pubblico rischia di dover affrontare costi onerosi. Anche per i limiti dell’età, posti a 43 anni, molte donne ricorreranno alle cliniche private. Sarà molto difficile evitare la nascita di un vero e proprio mercato della vita umana, senza una legge votata dal Parlamento che preveda limiti certi, garanzie e sanzioni efficaci. Se si segue l’esempio di altri paesi, dove le regole non ci sono o non si rispettano, si rischia di incorrere in casi drammatici, come quello danese, dove la più grande bio-banca del paese ha venduto in tutto il mondo, anche a due italiani, gameti di un uomo portatore sano di una grave malattia genetica.
Crede che sia un rischio reale, anche in Italia?
Non si possono fare screening su tutto. Anche se fosse, tendenzialmente saranno limitati, per gli alti costi che comportano. Come si è dimostrato, la tracciabilità dei gameti dei donatori, a livello internazionale, è inefficiente. Le norme si sono dimostrate facilmente aggirabili. Non essendoci una legge che regoli questi particolari tecnici, i rischi sono alti. I clienti delle cliniche private sono in balia dei contratti siglati con l’azienda e godono di poche garanzie. Per quanto riguarda altri aspetti, meno tecnici e più etici, l’assenza di una legge pone problemi altrettanto gravi.
A cosa si riferisce?
Come si fa ad assicurare, per esempio, che nelle cliniche private non adottino lo stesso sistema di “cataloghi” usati all’estero per scegliere il bambino ideale – biondo, occhi azzurri – e non solo il bambino sano, senza una norma che lo vieti espressamente?
Crede che le cliniche private italiane saranno spinte a comportarsi come all’estero?
Nel mercato della vita umana l’unica regola che vale è quella della domanda e dell’offerta. Non si può essere ingenui. Se si lascia alle cliniche private una grande libertà d’azione, senza imporre paletti, è il far west. La sinistra italiana vuole questo? Il liberismo selvaggio? Perché quando si tratta di questi temi, molto più delicati di altri, i politici di sinistra non sollevano il problema delle regole? Tutti sappiamo che c’è una lobby agguerrita che difende un mercato redditizio. Basti vedere cosa è accaduto dopo il referendum sulla legge 40. In pochi anni, usando il sistema giudiziario, si è riusciti a eliminare il divieto all’eterologa.
Mercato redditizio, ma non per il settore pubblico.
Non è certo la “gratuità” ad alimentare i mercati. La legge promossa da Lorenzin obbligava a trattare le donazioni di gameti come quelle dei trapianti. Sia nel settore privato, sia nel settore pubblico. Perché non andava bene? Perché sarebbe crollato il profitto delle cliniche private. Anche nel servizio pubblico il sistema può essere gratuito solo per modo di dire. D’altronde è difficile immaginare quante donne donerebbero un’ovocita senza un tornaconto. Si parla di un’operazione vera e propria. La Regione Toscana, per fare un esempio, ha proposto l’esenzione del ticket di 500 euro per le donne che ricorrono all’omologa, se “donano” un’ovocita ad altre donne. Ma si tratta di una vendita vera e propria, un ovocita per 500 euro di esenzione, altro che donazione!