Essere o non essere americani? L’eterno dilemma di Puerto Rico

Scrivo queste parole da San Juan, Puerto Rico, mentre guardo fuori dalla finestra di un palazzo del Sedicesimo secolo il monumento che celebra il cinquecentesimo anniversario dell’arrivo di Cristoforo Colombo sull’isola nel 1492. Sono nato qui perché mio nonno, un ufficiale della marina spagnola, era stato distaccato qui e si sposò con mia nonna, la cui famiglia, anch’essa spagnola, si era trasferita sull’isola. Nel 1898 mio nonno rimase ferito a morte nella guerra ispano-americana e venne sepolto in Spagna. Come conseguenza del conflitto, la Spagna cedette Puerto Rico agli Stati Uniti. Il governo americano voleva assimilare l’ex colonia iberica all’Unione, ma prima doveva cancellare ogni traccia della sua identità spagnola. Perciò, Puerto Rico – rinominata “Porto” Rico – venne invasa da missionari protestanti americani con il compito di eliminare la dimensione cattolica della cultura portoricana, nonché da insegnanti che dovevano insegnare nelle scuole l’inglese al posto dello spagnolo. Inoltre, nel 1917, tutti i portoricani divennero cittadini americani per nascita. Questa politica di assimilazione, tuttavia, nel tempo si è rivelata un insuccesso. Tutto ciò che ha saputo creare è un caos di tale irrisolvibile portata che ancora oggi, a 108 anni di distanza, Puerto Rico si trova quasi paralizzato da una crisi d’identità. A ogni elezione, meno del 5 per cento dei portoricani vota per il Partito dell’Indipendenza (che promuove la separazione totale dalla nazione americana), mentre il resto dell’elettorato si divide quasi a metà fra chi vuole che Puerto Rico diventi uno Stato uguale a tutti gli altri cinquanta Stati dell’Unione e coloro che – prendendo atto dell’attuale caos – hanno creato quello che viene definito un “Free Associated State”, una sorta di marchingegno politico che continua a “evolversi” a seconda dei conflitti creati dalla stessa mancanza di certezza da cui dipende. Nessuno è soddisfatto dall’attuale formula dello Stato libero associato, ma né l’ipotesi della separazione né quella della trasformazione in uno Stato dell’Unione hanno un appoggio sufficiente per prenderne il posto.
Nel mondo ci sono circa otto milioni di portoricani. Quasi la metà di essi vive a Puerto Rico, mentre l’altra metà si è trasferita negli Stati Uniti. La maggior parte degli americani non ha alcuna idea di quale sia lo status di Puerto Rico e quindi la questione non ha mai rappresentato un elemento importante nella politica americana. Durante la Guerra Fredda e in occasione del conflitto con Cuba, il governo americano fece tutto il possibile per screditare il movimento indipendentista; ma oggi la situazione è cambiata. Negli Stati Uniti l'”immigrazione ispanica” è diventata una questione politica scottante, e molti americani sono terrorizzati dalla potenza politica che potrebbe esercitare uno “Stato ispanico”. Ironicamente, le speranze del movimento indipendentista sono ora fondate non sui desideri dei portoricani ma sui timori degli americani. Nel frattempo, però, i sostenitori dell’equiparazione di Puerto Rico con gli altri Stati dell’Unione stanno cominciando a riporre le proprie speranze in Hugo Chávez! E proprio come la paura di Fidel Castro spinse il governo americano ad opporsi all’indipendenza di Puerto Rico, forse anche la paura di Chávez sortirà un analogo effetto.
Così la questione portoricana è ancora una volta schiacciata tra due paure americane: da una parte la paura di un Venezuela rivoluzionario e del suo petrolio, dall’altra la paura della lingua spagnola in patria.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.