Egitto. «Morsi va condannato per i crimini commessi, ma non a morte»

Di Leone Grotti
18 Giugno 2015
Il ricercatore e docente egiziano Tewfik Aclimandos spiega a tempi.it perché la condanna a morte contro Mohamed Morsi è politica
Egypt's ousted Islamist President Mohammed Morsi gestures in a defendants cage at the Police Academy courthouse in Cairo, Egypt, Tuesday, June 16, 2015. An Egyptian court on Tuesday confirmed a death sentence handed to Morsi over a mass prison break during the 2011 uprising that eventually brought him to power. On Tuesday a separate ruling upheld a life sentence for Morsi and confirmed death sentences against 16 others over charges of conspiring with foreign groups, including the Palestinian militant group Hamas. (AP Photo/Hassan Ammar)

«Mohamed Morsi andava condannato, la scelta della pena capitale ha un significato politico ma se fossi nel governo non la eseguirei: non è un bel segnale impiccare un presidente democraticamente eletto». Così il ricercatore e docente egiziano Tewfik Aclimandos commenta a tempi.it la sentenza (appellabile) con cui la Corte d’assise del Cairo ha condannato a morte il leader politico dei Fratelli Musulmani per l’evasione di massa del 2011 dal carcere di Wadi el Natroun, all’inizio della rivolta anti-Mubarak. Morsi, deposto nel 2013, in aprile aveva ricevuto una sentenza a 20 anni di reclusione per aver ordinato la repressione di una protesta nel 2012. Per il docente di Storia contemporanea del mondo arabo al Collège de France, già ricercatore al Cairo dal 1984 al 2009, «il governo non ha ancora deciso che cosa fare».

Professore, Morsi meritava la condanna a morte?
Non so cosa pensare. Non so se è una condanna fondata perché non ho visto le prove. Io, per motivi di principio, sono contro la pena di morte e ci sono forti sospetti che questi processi siano politici. Morsi merita una sentenza pesante, ma la stessa cosa si può dire di Mubarak.

L’ex raìs era stato condannato all’ergastolo, poi assolto, poi tutto è stato annullato e il 5 novembre inizierà il processo «definitivo».
La domanda è: perché Morsi sì e Mubarak no? Credo che il governo potrebbe utilizzare questa sentenza nel processo di negoziazione con la Fratellanza. Potrebbe essere un modo per dire: noi non trattiamo con voi.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Le parti si stanno confrontando?
I Fratelli Musulmani dicono: “Io sono il partito di Dio e non ho limiti. Tu non mi fai paura”. Il governo gli risponde più o meno la stessa cosa e aggiunge che non possono fare quello che vogliono senza pagarne le conseguenze. Io non penso che dovremmo seguire questa logica tribale.

Che significato ha questa condanna?
Da una parte Morsi è stato eletto democraticamente come presidente, e non è bello vedere che un presidente eletto democraticamente viene condannato a morte. Dall’altra parte i Fratelli Musulmani, sia al potere che all’opposizione, hanno commesso crimini molto gravi e perché dovremmo condannare i militanti di basso rango e non i loro capi? C’è poi un altro punto da considerare.

Quale?
Morsi è una figura simbolica. Non è lui che comanda nella Fratellanza, sono altri i leader importanti. Lui è quasi irrilevante, quindi forse dovremmo combattere quelle persone che contano davvero e che non sono state elette democraticamente.

Gli egiziani come hanno reagito?
Ci sono importanti minoranze che vogliono sentenze ancora più dure contro i Fratelli Musulmani. Poi ci sono piccole minoranze che vorrebbero per loro la grazia. La maggioranza della popolazione non ama la Fratellanza, perché questa compie atti di violenza da almeno due anni. Però la gente vuole più di tutto tornare a una vita normale: è stufa di vivere in uno stato di guerra perpetuo.

Se il governo fa impiccare Morsi non lo trasforma in un martire?
Sì, c’è il rischio che diventi un martire. Ma bisogna anche considerare che ogni giorno tante persone, pensiamo solo a esercito e polizia, perdono la vita a causa della violenza islamista.

Ma, politicamente parlando, non potrebbe essere un passo falso?
Da un punto di vista politico, il nodo principale è questo: i Fratelli Musulmani si stanno disintegrando in tanti piccoli gruppi. Sorgono quindi due domande: il governo è interessato a questo processo? E poi: un’eventuale esecuzione di Morsi porterebbe ad accelerare questa disintegrazione o riporterebbe unità nella Fratellanza? Io non lo saprei dire.

Dunque, non è certo che la condanna a morte venga eseguita.
Io non posso prevedere il futuro ma sono state condannate a morte più di mille persone nell’ultimo periodo ed è impossibile che tutte vengano uccise. Neanche il governo sa cosa accadrà, sta ragionando sulle diverse opzioni. Io consiglierei di non ucciderlo perché Morsi è troppo importante come simbolo: è stato eletto dal popolo.

Dopo aver deposto Morsi il 3 luglio 2013, Abdel Fattah al Sisi è stato eletto presidente democraticamente l’8 giugno 2014. Che bilancio fa del suo primo anno alla guida dell’Egitto?
La domanda è complessa. Dal punto di vista della politica internazionale, il bilancio è buono, forse anche molto buono. Dal punto di vista della politica interna, il risultato è ambivalente. Per quanto riguarda l’economia ha lavorato bene, ma avrebbe potuto lavorare meglio; l’obiettivo di riportare la sicurezza invece non è stato ancora raggiunto, ma bisogna ammettere che garantire la sicurezza in Egitto oggi è molto difficile, c’è davvero tanta violenza nel paese. Ci aspettiamo di più, ma capisco che è quasi una mission impossible.

E il dialogo con le diverse anime del paese come procede?
Ecco, dal punto di vista politico il bilancio è preoccupante: non abbiamo ancora un Parlamento, persone che non le meritano subiscono forti pressioni e ci sono continui litigi con settori importanti della società. Al Sisi ha problemi con i giovani che hanno fatto la rivoluzione, con la comunità degli imprenditori… Devo dire che a volte ha ragione, altre ha torto, ma non è questo il punto: non si può litigare ed essere in disaccordo sempre con tutti i settori dell’élite che conta.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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