Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Che ne è dei rapporti fra religione e politica, della riforma di Al-Azhar, della protezione delle minoranze religiose dagli attacchi terroristici, dei rapporti fra i copti ortodossi e gli altri cristiani dieci settimane dopo l’applauditissima visita di papa Francesco al Cairo? Visita che è stata «non solo un successo, ma una benedizione per l’Egitto», ha ritenuto a ribadire recentemente padre Rafic Greiche, da un ventennio portavoce della Chiesa cattolica egiziana, al termine del suo intervento al Comitato scientifico internazionale di Oasis riunito a Gazzada Schianno (Varese). Successo e benedizione della visita non si sono tradotti ancora in successi sul campo nelle questioni suddette, anzi: la proposta di legge di riforma radicale di Al-Azhar avanzata dal deputato Abu Ahmed non è stata calendarizzata, il terrorismo islamista ha colpito ancora con la strage del 26 maggio che è costata la vita a 29 pellegrini cristiani diretti al monastero di San Samuele, e la questione del riconoscimento da parte della Chiesa copta ortodossa egiziana dei battesimi delle altre Chiese cristiane resta insoluta.
Dai giorni della visita del Papa, Al-Azhar, la più prestigiosa università islamica del mondo, è indubbiamente sotto il fuoco incrociato. Subito dopo la chiusura della conferenza su religioni e pace alla quale era stato invitato Francesco, l’intellettuale egiziano Islam al-Behairi ha duramente criticato il discorso del grande imam Ahmed al-Tayyeb, che è sembrato attribuire la violenza terroristica agli interessi di chi commercia armi e all’influenza delle filosofie post-moderne. Al-Behairi è stato in prigione con una condanna a cinque anni (poi ridotti a uno prima di essere graziato dal presidente al-Sisi), denunciato da Al-Azhar per “insulto all’islam” a causa dei contenuti del programma televisivo che conduceva su una rete satellitare, nel corso del quale ha accusato l’università islamica di perseguire una linea oscurantista. Sempre su richiesta di Al-Azhar la tv sospese le sue trasmissioni.
In un’intervista ad AsiaNews al-Behairi ha ribadito le sue accuse all’università e ad al-Tayyeb: «Io chiedo ad Al-Azhar di smetterla di mostrare al mondo libri scritti da certi imam del Medio evo, che essa diffonde come fossero il retaggio del vero islam. Perché quanto è contenuto in questi libri è quanto, alla lettera e fino all’ultima virgola, compie all’atto pratico Daesh. (…) Questi imam di un tempo hanno offuscato il nostro modo di vedere le cose, hanno peccato contro l’islam per oltre 1400 anni. Hanno fatto del male alla nostra gente, all’immagine dell’islam e anche alle relazioni dell’islam con le altre religioni. Lo sceicco non vuol sentire parlare di nuova interpretazione. Egli la combatte con ferocia e intenta processi contro quanti la vogliono». Sono le stesse convinzioni del deputato Abu Ahmed: «Abbiamo scoperto che i curriculum di Al-Azhar e delle istituzioni nate da essa contengono molte idee che conducono alla violenza o addirittura incitano alla violenza».
Pietra dello scandalo sono le norme su schiavitù, donne e non musulmani dei trattati medievali di giurisprudenza che ancora l’università insegna non come materie storiche, ma giuridiche. La proposta di legge intende limitare i mandati del grande imam a due della durata di sei anni, fissa sanzioni se non adempie ai suoi doveri, stacca le facoltà non religiose dell’università da quelle teologiche e le accorpa in una nuova università da creare, ma soprattutto rimette nelle mani del capo dello Stato la nomina del grande imam, che oggi è votato da un collegio elettorale di studiosi fra tre candidati precedentemente selezionati, e un domani dovrebbe essere scelto dal presidente egiziano all’interno di una terna proposta dall’università. Virtualmente la totalità di Al-Azhar è contraria a questa proposta di legge, e al-Tayyeb minaccia di dimettersi se sarà approvata.
Una nuova legge in cui sperare
In risposta alle iniziative di riforma provenienti dal mondo politico e alle ricorrenti accuse dei media e degli intellettuali di non fare abbastanza contro la propaganda religiosa intollerante e la violenza religiosamente motivata (accuse che hanno toccato lo zenit dopo il massacro dei 29 cristiani copti uccisi dall’Isis il 26 maggio scorso), l’università ha creato un comitato di saggi che sta elaborando una proposta di legge contro chi, imam o laico, incita all’odio e alla violenza sulla base della religione. Altri conflitti contrappongono Al-Azhar al mondo politico: gli organi direttivi dell’università hanno respinto l’iniziativa del ministro del Patrimonio religioso che avrebbe obbligato tutti gli imam del paese a leggere lo stesso sermone scritto il venerdì, come pure la richiesta del presidente al-Sisi di modificare le norme che regolano il “divorzio orale”, cioè il ripudio. Commenta padre Greiche: «Al-Azhar deve rivedere i curriculum delle università e delle scuole che da lei dipendono, ma non è capace di uscire dagli schemi, perché gli imam che da decenni esercitano il controllo dell’istituzione si sono formati in un’altra epoca, e della loro formazione non possono liberarsi. Sarebbe necessario un grande cambiamento di mentalità in coloro che stanno formando i futuri azhariti, ma per far questo Al-Azhar dovrebbe lasciarsi influenzare da studiosi e filosofi che non ama, come è il caso di Islam al-Behairi».
Riguardo alla legge sugli edifici religiosi approvata nell’agosto scorso, che dovrebbe facilitare la costruzione di chiese, padre Greiche non si pronuncia: «È ancora presto per dire se funziona. L’Egitto è vittima della sua burocrazia dai tempi dei faraoni. Finora la legge è servita a regolarizzare la posizione di quattro chiese che erano già state costruite. Governatori e pubblici ufficiali hanno ancora il potere di ostacolare una comunità che vuole costruire una chiesa, ma almeno da ora in avanti quando si andrà in giudizio potremo appellarci alla nuova legge».
Il secondo problema irrisolto riguarda gli attacchi terroristici contro i cristiani, che sono diventati più frequenti di quelli contro le istituzioni. «Questo avviene per due ragioni», spiega Greiche. «La prima è che i cristiani vengono puniti per aver sostenuto in massa la rivoluzione del 30 giugno 2013, quella che in seguito ha portato al potere al-Sisi. Sono stati decisivi nella caduta del presidente Morsi e nel sabotare il piano di trasformazione dell’Egitto che avevano in mente i Fratelli Musulmani. La seconda ragione è che l’Isis e i gruppi ad esso affiliati hanno l’ossessione di purificare le terre dell’islam da tutto ciò che non è islamico, dunque devono eliminare la presenza dei cristiani. Gli attacchi mirano a intimidire i cristiani perché abbandonino il paese: è la stessa cosa che è successa in Iraq, in Siria e in passato in Libano».
La disputa sul battesimo
La terza questione riguarda i rapporti fra i copti ortodossi e tutte le altre Chiese, compresa quella cattolica: i primi richiedono a tutti i cristiani che vogliono entrare a far parte della Chiesa copta (di solito questo accade per motivi legati al matrimonio) di farsi ribattezzare, non considerando valido il primo battesimo che è stato loro impartito nelle Chiese d’origine. Il 28 aprile scorso Francesco e Tawadros II hanno firmato una dichiarazione comune nella quale al punto 11 assumevano impegni in materia: «Dichiariamo reciprocamente che noi, con un cuore e una mente sola, cercheremo sinceramente di non ripetere il battesimo che è stato somministrato in una delle nostre Chiese per qualsiasi persona che voglia unirsi all’altra». Il problema però è che alcuni vescovi copti ortodossi egiziani non danno alcun valore a questa dichiarazione comune. Spiega padre Rafic: «La Chiesa copta ortodossa è l’unica della famiglia ecumenica che non riconosce i battesimi degli altri. Papa Tawadros vorrebbe mettere fine a questa situazione, ma ci sono vescovi della vecchia guardia che fanno ostruzionismo, e dicono che la dichiarazione firmata con Francesco non ha valore vincolante: la decisione deve essere presa dal sinodo riunito e deliberante. In tanti aspettavamo il decreto a firma di Tawadros che avrebbe stabilito l’equivalenza dei battesimi, ma evidentemente i tempi non sono ancora maturi».
Non sarebbe però giusto dedurre da questa rigidità una natura gretta del cristianesimo copto egiziano. Nella sua ultima riunione del 2 giugno scorso il Santo Sinodo ha istituito la data del 15 febbraio (il giorno del massacro sulla spiaggia di Sirte) come Giornata dei martiri copti dell’epoca contemporanea. «La dichiarazione ha sottolineato che la Chiesa è fiera dei suoi fedeli che sono morti a causa della fede e per aver rifiutato di rinnegarla, soprattutto i bambini», spiega Christian Cannuyer direttore di Solidarité-Orient. «I vescovi si dicono anche fieri delle famiglie colpite dal lutto che, grazie alla fede, hanno potuto superare il loro dolore e accordare pubblicamente il perdono agli autori della violenza, secondo l’insegnamento della Bibbia che chiede ai cristiani di amare i loro nemici e di fare del bene a coloro che li detestano».
Amare tutti gli uomini
Nel comunicato finale del Sinodo si leggono parole che riaffermano la linea nei confronti del potere politico e della società egiziana che ha sempre contraddistinto la Chiesa copta e che chiariscono le basi teologiche di tale linea: «La Chiesa resterà sempre fedele alle sue costanti storiche. Essa favorirà sempre la pace nella comunità: la violenza assassina non avrà altro effetto che che farci aderire ancora di più all’amore cristiano. Non può esserci alcuna bontà in noi se non amiamo tutti gli uomini, qualunque atto essi compiano. Gesù Cristo ci ha insegnato: “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri”».
Padre Greiche, che è un greco cattolico (melchita), non è stupito di questo cristianesimo estremo: «Il martirio nelle Chiese orientali, non solo in quella copta ortodossa, è la base della fede. Nel caso dei copti, i loro antenati hanno subìto le persecuzioni di Diocleziano, dei bizantini e dei musulmani; poi hanno avuto i problemi nella convivenza coi musulmani. Tutto ciò ha generato presso i cristiani una fede basata sul martirio. Se sono chiamati al martirio, i cristiani orientali lo affrontano senza esitare. Non è gente assetata di morte, è gente con una identità: è parte della cultura cristiana orientale essere pronti al martirio per la fede in Cristo».
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