Caro direttore, nei giorni scorsi si è tenuto il Consiglio Permanente della Cei e mi è capitato di leggere sia l’introduzione del presidente Card. Gualtiero Bassetti sia il documento finale. Mi ha quasi commosso il constatare la ricerca in atto da parte dei nostri vescovi al fine di trovare una strada efficace per dare nuovo impulso alla presenza del popolo cattolico nel nostro Paese, presenza che si trova ad affrontare molti anche gravi problemi. Mi ha colpito il fatto che la Cei abbia deciso di concentrare i propri lavori per «riscoprire il primato dell’evangelizzazione e ripensare gli strumenti più adeguati per far sì che nessuno sia privato della luce e della forza della Parola del Signore». Mi pare che finalmente si sia centrato il punto essenziale del problema dei cristiani, che è quello di annunciare l’avvenimento del Signore e spero che una volta per tutte venga abbandonata l’insistenza sull’analisi della situazione (che oramai conosciamo molto bene), per passare decisamente a quella che una volta si chiamava missione. Penso, infatti, che l’importante non sia tanto “sapere leggere questo tempo”, ma, come fecero i primi apostoli, annunciare e testimoniare senza indecisioni l’unico fatto veramente nuovo accaduto nella storia e costituito dalla resurrezione di Cristo. Sempre nel documento finale, si scrive che «i vescovi guardano all’Assemblea generale come ad un evento di grazia, che favorirà il confronto e aiuterà a individuare le forme dell’esperienza della fede e le priorità sulle quali plasmare il volto della Chiesa». Tutto il popolo cristiano dovrà accompagnare con la preghiera “l’evento di grazia”, affinché sia veramente tale.
Tutto il mondo cattolico dovrà fare un profondo esame di coscienza sul tema dell’evangelizzazione, cioè della missione. Innanzi tutto, occorrerà guardarsi in giro per vedere gli eventi di grazia che lo Spirito ha già fatto accadere, ma che rischiano di passare inosservati e privi di suggerimenti. Mi riferisco, in particolare, alla Grazia che il Signore ci ha fatto mandandoci, in questo periodo storico, tanti santi (non tutti ancora canonizzati), che ci hanno mostrato “le forme dell’esperienza della fede” più convenienti per la Chiesa di oggi. Sarebbe ora che tutto il mondo cattolico guardasse con convinzione a tali esperienze, senza più perdere tempo in analisi sui soliti sempiterni problemi. Penso non solo a giganti già riconosciuti come santa Teresa di Calcutta, il grande san Giovanni Paolo II, san Paolo VI, ma anche a tutti coloro che hanno dato vita a forme nuove di aggregazione cristiana, che, ripeto, spesso vengono visti come fenomeni “strani” e singolari che, in fondo, non riguardano la Chiesa intera. Se lo Spirito ha mandato in abbondanza questi “santi” o beati o servi di Dio, dovremo pure ascoltarli se vogliamo non rendere vana la “grazia” che ci è stata trasmessa.
Personalmente, condivido da molti anni l’esperienza nata intorno al Servo di Dio don Luigi Giussani. Guardando a ciò che egli ha vissuto dentro la Chiesa, penso che vi siano, fin dall’origine, due elementi che ritengo possano servire alla Chiesa di oggi.
Il primo è quello essenziale, che assorbe tutto il resto. Don Giussani non faceva altro che proporre l’esperienza della propria fede in Cristo. Lo vidi esultare quando san Giovanni Paolo II scrisse, nella sua prima enciclica, che Gesù è «il centro del cosmo e della storia». Sembrerebbe strano sottolineare questo aspetto ai cristiani, ma penso che non lo sia: troppo spesso vedo che in tante assemblee cristiane viene dato per scontato il riferimento a Cristo e che il problema viene ridotto a quello di definire le conseguenze derivanti dalla dottrina o dalla Parola di Gesù. Non si può mai dare per scontata l’origine e l’origine è la persona di Cristo e basta. A volte sembra che i cristiani abbiano vergogna di annunciare direttamente Cristo, il che è grave, perché anche Gesù avrà vergogna di loro. Per certi versi, il problema cristiano è semplice: annunciare e testimoniare la vita nuova portata da Cristo. Per i “santi” questo è molto chiaro.
Il secondo elemento sottolineato da don Giussani è sintetizzato nel termine “ambiente”. Occorre annunciare Cristo nel luogo in cui le donne e gli uomini, giovani o anziani che siano, vivono la loro vita quotidiana. Sento molti cattolici lamentarsi che le persone non frequentano più i loro ambienti. E allora? Andiamo noi negli ambienti in cui è determinata l’esistenza delle persone ed il loro impegno umano. Cristo può e deve essere annunciato in ogni ambiente dall’unità dei cristiani che vi vivono. Se Dio si è fatto uomo, è tra gli uomini vivi che deve essere testimoniato e proclamato.
Penso che sarebbe utile a tanti rileggere il libro di don Giussani Il cammino al vero è un’esperienza (Rizzoli, 2006), dove il Servo di Dio indica alcuni punti di metodo per la presenza cristiana nell’ambiente. Il libro ha un inizio fulminante: «Il richiamo cristiano deve essere: – deciso come gesto; – elementare nella comunicazione; – integrale nelle dimensioni; – comunitario nella realizzazione». “Deciso”, perché «la prima condizione per raggiungere tutti è una iniziativa chiara di fronte a chiunque». Questa osservazione correggerebbe un certo complesso di inferiorità che ha invaso tanti cattolici, i quali, chissà perché, pare abbiano paura a sollecitare la libertà delle persone di fronte alla proposta di Cristo. O si tratta, ripeto, di vergogna? “Elementare”, perché il richiamo cristiano, se vogliamo che sia rivolto a tutti, deve essere semplice e «la semplicità consiste non tanto in un modo di esporre… quanto nel prescindere da ogni complicazione, cioè nell’essere essenziali». “Integrale” è un impegno che tenga conto delle dimensioni essenziali della vita cristiana, che sono la cultura, la carità e la missione le quali vanno vissute insieme se non si vuole ridurre alla mediocrità il gesto cristiano. Il pensiero di Cristo ci aiuta a vivere in modo diverso e intero la carità da condividere con i nostri fratelli uomini e la missione verso tutti. Queste dimensioni valgono per tutti i cristiani, non solo per preti e suore. L’annuncio, infine, deve essere “comunitario”, perché Gesù, nella sua ultima drammatica preghiera al Padre (cap. XVII di san Giovanni) ha chiesto la grazia della nostra unità “perché il mondo creda”. L’esperienza comunitaria, allora, in ogni ambiente (quartiere, scuola, università, luoghi di lavoro e di divertimento) è essenziale, come è essenziale la Parola ed il Sacramento. Individuare nella sola Parola il problema della evangelizzazione mi sembra limitare l’esperienza cristiana, visto che il Verbo (la Parola) si è fatto carne ed è venuto tra di noi con la Sua Persona ed ha vissuto nella comunità degli apostoli.
Caro direttore, volevo semplicemente dire, da umile battezzato, cosciente della propria debolezza, ma con diritto di parola, che per l’evangelizzazione non dobbiamo troppo complicarci la vita: basta lasciare la preoccupazione delle analisi esasperate ed abbandonarsi a Cristo, perché Lui ci detta quel che dobbiamo dire e fare. Per il Servo di Dio don Giussani la scelta è stata semplice e immediata: constatato che i giovani (già 60 anni fa) non conoscevano più Gesù e la Sua Chiesa, ha abbandonato tutto (una facile carriera di teologo) e si è precipitato nell’ambiente della scuola con il solo scopo di spiegare la razionalità del cristianesimo e la forza di cambiamento portata da Gesù, come è testimoniato nella monumentale Vita di don Giussani, scritta da Alberto Savorana. La sua scelta è stata decisa, elementare, integrale e comunitaria ed i frutti si sono visti, in tante conversioni, in tante vocazioni religiose, in tante opere. Abbiamo molto da imparare dai “santi”, compresi quelli contemporanei.
Mi sono permesso di scriverti questa lettera, caro direttore, non perché mi sia improvvisamente trasformato in un teologo, ma semplicemente perché quanto ti ho scritto è solo frutto della mia esperienza personale: io ero molto lontano dalla Chiesa, ma la mia vita ha cambiato direzione perché ha visto la scintilla di Cristo nel cuore di un prete ambrosiano innamorato dell’avvenimento cristiano, che non faceva altro che dire a tutti quello che Cristo significava per lui, cioè tutto. Questa scintilla ha acceso un fuoco persino nel mio cuore di liceale berchettiano e questo fuoco, dopo più di sessant’anni, non si è spento, anzi. E arde ancora dal desiderio che la verità di Cristo conquisti liberamente tutte le disperate persone di oggi. Questa scintilla non si accende a tavolino, ma solo decidendo, per grazia, di dare tutto a Cristo come ha fatto il servo di Dio don Giussani. Tutto il resto è politica, non evangelizzazione. Aiutiamo i nostri pastori a portare fino in fondo l’intuizione di puntare tutto sulla evangelizzazione, guardando, ripeto, ai segni, spesso potenti, che lo Spirito ci ha già mandato per educare il popolo alla fede.
Foto Ansa