Quest’anno cade il 30simo anniversario della protesta di Piazza Tienanmen del 1989, ferocemente repressa nel sangue dall’esercito inviato dal partito comunista, e in tanti si chiedono se il popolo cinese sarà mai in grado di replicare un simile movimento e sfidare l’autorità del regime guidato da Xi Jinping. A prescindere dalla vasta letteratura e dal pensiero di decine di autorevoli attivisti che ne mettono in discussione l’opportunità, probabilmente e paradossalmente potrebbe non essercene bisogno.
LA CRISI DEMOGRAFICA DEL DRAGONE
Oggi la Cina è un impero economico e militare all’apparenza solido e invincibile, ma la crisi demografica che colpisce il paese da anni, e che è stata innescata proprio dalle scellerate politiche del partito, sta per presentare il conto. Nel 1960 il tasso di natalità in Cina era di quasi sei figli per donna, Mao Zedong amava dire che «con molte persone, la forza è grande». Nel 1979 è stata lanciata invece la famigerata legge sul figlio unico per «migliorare la vita delle persone» (Deng Xiaoping) e Pechino si è vantata di avere impedito in 35 anni la nascita di 400 milioni di bambini, attraverso sterilizzazioni e aborti forzati. Ora però quei bambini farebbero molto comodo al regime perché è a partire dagli anni Novanta che il tasso di natalità è sceso al di sotto del tasso di ricambio generazionale (2,1 figli per donna). Se nel 1990 nacquero 28 milioni di bambini, nel 1999 appena 14 milioni. Oggi, secondo le statistiche ufficiali, il tasso di natalità è di 1,5 figli per donna, ma in realtà, secondo il ricercatore indipendente dell’Università del Wisconsin-Madison, Yi Fuxian, si attestava all’1,05 figli per donna già nel 2015. E da allora è calato ulteriormente.
La struttura demografica della Cina odierna, spiega il professor Yi sul South China Morning Post, è molto simile (fatte le debite proporzioni) a quella del Giappone negli anni Novanta, colpito da una crisi economica che «era essenzialmente una crisi demografica». Il Giappone nel 1992 poteva contare su una forza lavoro di 22,9 milioni persone, che è scesa nel 2017 a 17 milioni e che è decisamente invecchiata. «Ne è conseguito un declino in produzione e innovazione», continua Yi, «e come risultato le esportazioni giapponesi rispetto al totale globale sono passate dal 12,5 per cento del 1993 al 5,2 per cento del 2017. I risparmi dei giapponesi sono calati dal 1991 al 2016 dal 35,7 per cento al 24,5 per cento e gli investimenti dal 34,2 al 23,6». Al contrario, la spesa per la sanità e l’indebitamento del governo sono aumentati in modo esponenziale con l’invecchiare della popolazione. «Ma il tasso di natalità in Cina è peggiore di quello del Giappone e credo perciò che la crisi cinese sarà ancora più grave di quella giapponese». Nel nordest della Cina, ad esempio, il tasso di natalità è già oggi di appena 0,5 figli per donna.
IN 80 ANNI SPARIRANNO UN MILIARDO DI CINESI
Se il tasso di natalità in Cina si stabilizzerà intorno a 1,2 figli per donna, la sua popolazione calerà dagli attuali 1,39 miliardi a 1 miliardo nel 2050 e ad appena 480 milioni nel 2100. Nel 2050 il 32,6 per cento della popolazione avrà più di 65 anni e la forza lavoro calerà sotto i 600 milioni di persone, mentre l’età media sarà di 56 anni contro i 22 del 1980. Di conseguenza, non solo la Cina non riuscirà più a garantire gli attuali livelli di crescita, «ma la sua vitalità economica continuerà ad affievolirsi e questo avrà un impatto sociale disastroso».
Nel 2015 il governo ha abolito la famigerata legge sul figlio unico e permesso alle coppie sposate di avere due figli, ma il baby boom sperato di 20 milioni di nascite non c’è stato, anzi, nel 2017 sono calate a 17,23 milioni. Gli analisti sono sicuri che entro il 2020 la Cina abolirà tutti i limiti nel disperato tentativo di invertire la curva demografica, ma la realtà è che quasi 40 anni di legge sul figlio unico hanno creato una mentalità. Avere più di una gravidanza oggi è considerato un ostacolo per la carriera e il costo delle case e della vita spinge le coppie a non allargare la famiglia. Secondo un recente sondaggio condotto da Zhaopin, uno dei principali siti online cinesi di reclutamento professionale, il 40 per cento delle persone censite senza figli ha dichiarato di non volerne e il 63 per cento delle donne con un figlio ha detto di non desiderarne un secondo.
TIENANMEN DI CULLE VUOTE
Se l’economia della Cina, che è già in forte difficoltà, come previsto dal professor Yi rallenterà progressivamente (è guardando al fattore demografico che Moody’s ha declassato il rating sovrano della Cina nel maggio 2017), non sarà in discussione solamente il tanto agognato sorpasso degli Stati Uniti. Potrebbe svanire non solo la conquista dello scettro di prima potenza economica mondiale, previsto per il 2030, ma anche il principale elemento che oggi legittima al potere il partito comunista: la capacità di garantire prosperità alla società cinese e successo al paese sulla scena internazionale. Se 30 anni fa, per stroncare la protesta dei giovani, al regime è bastato inviare l’esercito in piazza Tienanmen con disumano cinismo, non c’è carro armato che potrà riempire le culle che leggi ispirate a quello stesso cinismo hanno drammaticamente svuotato.
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