
E Roma inventò l’impero «globale»
Il cammino che la storiografia greca compie, dai primi tentativi di logografi ionici, autori di storie di città e di fondazioni, a Polibio e all’età ellenistico romana, è, a parte la progressiva presa di coscienza di un metodo critico, quella che va dalla storia locale alla storia universale: già Erodoto, mettendo al centro del suo interesse le guerre persiane, intese come grande scontro fra Asia ed Europa, e ponendo come scopo della sua storia quello che non fossero dimenticate le grandi imprese dei Greci e dei Barbari, aveva additato ai suoi successori l’apertura della storia dei Greci a quella del «mondo»; ma, dopo Erodoto, la grande storiografia critica aveva preferito la strada della monografia […] o quella delle Elleniche, cioè il racconto delle vicende greche […]. L’apertura alla storia «universale», come storia delle vicende della Grecia, dell’Asia, dell’Occidente (inteso però pressoché esclusivamente come Occidente greco, Sicilia e Italia meridionale) si ebbe, nella seconda metà del IV secolo, con Eforo di Cuma, ma fu solo con la seconda guerra punica, la prima «guerra mondiale» della storia, che Polibio intravide il confluire nell’unità delle vicende di tutto il mondo. Prima della Olimpiade centoquarantesima (220-216) – egli dice (I, 3,1 sagg.) – le vicende dell’ecumene erano state, per così dire, disperse, sia per quel che riguarda le iniziative, sia per quel che riguarda il compimento, perché si svolgevano in luoghi lontani gli uni dagli altri: da questo momento la storia assume un’unità organica e le vicende dell’Italia e dell’Africa si intrecciano con quelle dell’Asia e della Grecia e conducono tutte ad uno stesso compimento». In quel movimento verso la globalizzazione, che fu la rapida ascesa di Roma e del suo impero, la storia diventa naturalmente universale: Diodoro Siculo, che scrive al tempo di Cesare, attingendo alle idee cosmopolite degli stoici, osserva (I,1 sgg) che, per volere della Provvidenza e a causa dell’estendersi della potenza romana sino ai confini dell’ecumene, le vicende umane sono sboccate nell’unità ed appaiono ormai chiuse come in un cerchio; la storia, pertanto non può più essere quella di una sola città o di un solo popolo e neppure di un’epoca particolare, ma «di tutto il mondo come se fosse una sola città» e deve iniziare dalle origini dell’umanità e giungere ai tempi dello scrittore. Una storia così concepita è per Diodoro […] «profetessa di verità e quasi metropoli di ogni filosofia». L’aspetto non solo politico e culturale, ma anche economico di questa mondializzazione della storia umana non sfuggì agli antichi: la conquista romana, osserva Plinio il Giovane nel Panegirico a Traiano (cap. 29 sgg.), aprì vie e porti, mescolando a tal punto genti diverse con il commercio, che i prodotti nati in un luogo, sono accessibili come se fossero nati presso tutti, e durante l’intero anno, senza ingiustizie verso nessuno, possono essere usati in abbondanza; e questo non come preda strappata al nemico o sottratta alle province, ma come merci liberamente trasportate dai produttori e comprate, secondo quello che pare opportuno, dal fisco. […] E Plinio, pieno di entusiasmo, esalta Traiano, capace di trasportare da un punto all’altro dell’impero la fecondità della terra, tenendo conto delle necessità di tutti, cosicché un popolo al di là del mare potè essere nutrito e difeso come il popolo stesso di Roma: sotto un impero centralizzato, i beni di tutti appartengono a tutti. Il cristiano Tertulliano, nell’Ad Nationes, I,10, sembra fare eco all’entusiasmo di Plinio: «Se guardate il mondo intero non potete dubitare che sia diventato progressivamente più colto e popolato: ciascun territorio è ora accessibile, ciascuno esplorato, ciascuno aperto al commercio… ovunque c’è gente, ovunque comunità organizzate, ovunque vita umana…». La libera circolazione dei prodotti, sotto la protezione di un’autorità centrale, che tende sempre più, come avviene progressivamente nell’impero romano, ad equiparare le province all’Italia, appare ben diversa da quella che la talassocrazia della democratica Atene poteva permettere, nel momento della sua massima potenza, a chi non aveva il dominio del mare: […]. Questo ragionamento, molto moderno, si trova nella «Costituzione degli Ateniesi» attribuita a Senofonte: la logica della polis appare in questo caso più «imperialista» di quella dell’impero di Roma. (l’articolo è comparso su Avvenire, Domenica 15.6.2001)
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