
È l’ora delle childfree (ci mancavano le paternali delle amazzoni senza figli)

Cari fossili viventi del 2020, abbronzatevi con questa, la serie estiva del Guardian “Being childfeee”. L’idea non è nuova: celebre è la cover dedicata dal Time nel 2013 a un giovane lui e una giovane lei (fascinosissimi in costume da bagno, lenti a specchio e sabbia bianchissima), con strillo d’ordinanza “The childfree life: when having it all means not having children” (una vita senza bambini: quando avere tutto significa non avere figli). Già allora l’equivalenza “no marmocchi” uguale “foto Instagram permanenti dall’atollo” suonava un filo provinciale e stereotipata almeno quanto quella di “mamma e papà” di paleozoica memoria, ma tant’è: per settimane il fighismo anticoncezionale come scelta di vita era stato indagato e promosso dalla stampa in un’America che affrontava il suo quarto anno di calo delle nascite. Sono passati sette anni, il tasso di natalità americano è in caduta libera, ci sono più follower che figli. I bambini, se nascono, nascono dai calcoli, non averli una scelta di vita da rivendicare come un manifesto. Ma come: non si doveva tenere il naso fuori dalle lenzuola? Non erano “fatti miei” di cui la società che lanciava l’allarme denatalità non doveva impicciarsi? Non era cool e rilassante avere la culla vuota e la gallery del social network piena?
PARTORIRE COME CALARSI UN ACIDO
Censurato l’aitante “lui” dall’orizzonte, via le foto della spiaggia, largo alle illustrazioni degli artisti visivi, e da una conversazione al bar tra le giornaliste Summer Sewell e Jessica Reed – la prima convinta no-figli, la seconda indecisa se averli forse per colpa del retaggio patriarcale – nasce così il dibattito per liberare dalla stigmatizzazione donne che non ci stanno ad essere definite egoiste. Razza, genere, etnia, orientamento sessuale: ogni volta che possono le persone ti infilano in una scatola e “mamma” è solo una di queste, una delle più rassicuranti, commentano tra un drink e l’altro; certo, una certa tristezza nel non volere le cose che per altre persone danno significato alla propria vita c’è, ma come si può pensare a un bambino quando al massimo il tuo partner ti aiuta tornando dalla spesa con cinque pomodori e un gambo di sedano? E poi che orrore la «generazione sandwich», donne che si prendono cura dei loro genitori e pure dei bambini («no grazie, mi sentirei soffocare»), e questa eterna responsabilità a cui ti obbliga un figlio che «striscia fuori dalla tua vagina e si trascina verso la tetta. È istinto animale, è natura. Il bambino striscia per sempre verso la tua tetta». Resta il timore reverenziale per il parto, «lo immagino un po’ come il più grande trip di Lsd, non sarai mai più lo stesso, c’è un prima e un dopo», «non penso si possa immaginare qualcosa di così incasinato, stupefacente e orrendo come la nascita», «è come defecare un alieno».
STRUZZI, CARBONIO E COLLASSO ECOLOGICO
Il Guardian chiede a questo punto alle lettrici di compilare un apposito form per spiegare se e perché hanno figli o se e perché non li hanno (tipo recensione Amazon, «ti preghiamo di includere più dettagli possibili») e pubblica una serie di contributi. C’è la lettrice che ha avuto problemi con l’alcol e non ha intenzione di diventare madre «a causa della mia predisposizione genetica alla dipendenza», «i bambini nati da genitori dipendenze hanno il 60 per cento in più di probabilità di svilupparle», «mi sembra in qualche modo irresponsabile per una persona con una storia di dipendenza, anche se quella dipendenza è sotto controllo, passare la battaglia alla generazione successiva», «scelgo di interrompere il ciclo: scelgo di non avere figli. Per me è giusto prevenire sofferenze inutili e questo, per me, sembra il miglior contributo che posso dare al mondo».
Immancabile, a proposito di contributo da dare al mondo, la testimonianza della donna che non vuole contribuire al collasso ecologico e articola il suo ragionamento usando l’immagine dello struzzo al posto del bambino, da allevare almeno per 18 anni, senza essere pagate per farlo, riducendo la propria possibilità di guadagnare e partorendo un uovo che ti squarcia il ventre, insomma, una donna che si dice incline a voler partorire un bambino almeno quanto lo sarebbe a mettere al mondo uno struzzo; chiude con la predica al Papa «celibe a vita» che definisce «egoista» la scelta di non fare figli, «il mondo sta bruciando e in molti sostengono che il modo migliore per un individuo in un paese sviluppato per ridurre la sua impronta di carbonio è avere meno figli».
«SIAMO MINACCIOSE, SCOMODE»
C’è la donna che in palestra si è infortunata con un peso da 25 chili che le ha procurato un lieve trauma cerebrale che ancora le dà problemi e offusca la mente, «se avessi provato a fare il genitore probabilmente avrei vissuto nella nebbia, con una ridotta capacità cognitiva e un’intensa stanchezza. Nonostante la mia disabilità, la mia vita a 35 anni è molto simile a come la sognavo a 10 anni: tranquilla, bella e assolutamente mia». C’è quella che è stata traumatizzata invece dalla madre che ancora bambina l’aveva portata con sé dal terapista dove si era molto lamentata di sua madre e che quando impazziva davanti alle richieste pressanti delle due figlie urlava sempre «e il mio turno quando arriva?». Ergo: «A 54 anni sono felice di vivere una vita senza figli, in cui mi sento libera e in cui è quasi sempre il mio turno».
E poi ci sono le childfree Julia, 36 anni, Kaitlin, 22 anni, Kristen, 45 anni e Sabrina, 25 anni, protagoniste di un video in cui affermano di non seguire «il copione» delle donne-madri, «il mondo ci chiama narcisiste, egoiste», «le donne vogliono farci cambiare idea», «ma la nostra felicità è più importante, la nostra salute mentale è più importante», «mio padre è della Repubblica Dominicana, mia madre di Portorico, se crescessi un bambino nero in questo mondo non potrei controllare la percezione degli altri», «penso che la cosa peggiore da dire a una donna sia ‘voglio mettere su famiglia’, questo la farà scappare», «ci sono molte altre cose che rendono donna una donna, per trasmettere cura e conoscenza non serve fare un figli», «siamo minacciose», «siamo donne scomode», «vogliamo il meglio per noi stesse».
CONSIGLI FILOSOFICI E TAROCCHI
Kerry Eustice, caporedattore del Guardian Us, invece non ha le idee chiare: e così a settembre, poco prima di compiere i 37 anni, ha compilato due elenchi: “Ragioni per cui non voglio avere un bambino” (dall’addio soldi all’addio cocktail e yoga) e “Ragioni per avere un bambino” (dalla passione per le liste dei nomi dei bambini alla voglia di sapere com’è restare incinta). Siccome i due elenchi non la aiutavano a prendere una decisione ha deciso di chiedere «consiglio alle persone che si guadagnano da vivere aiutando gli altri a fare delle scelte».
Eustice fornisce un resoconto dettagliato degli incontri: in breve la filosofa Ruth Chang le consiglia di esercitarsi a “teletrasportarsi” in un mondo in cui ha un bambino; Frances Kissling, attivista cattolica pro choice pensa che non si possa ignorare il mondo che ci circonda e assicura di provare sollievo quando pensa che non lascerà in questo mondo bambini che soffriranno i cambiamenti climatici o la mancanza d’acqua o altre disopie che si realizzeranno in futuro; Diana, sensitiva, dopo averle fatto i tarocchi e avere scoperto che Eustice da giovane ha abortito ostacolando la sua possibilità di essere madre la invita a riflettere sul fatto che c’è un tempo e un luogo per tutto. Poi Eustice chiacchiera con la madre che le parla dell’amore incondizionato tra una donna e una piccola persona da crescere, ricordandole che un figlio non è un aut aut alla vita di sempre, «sarebbe come il gelato sulla torta di mele». Ecco, Eustice assicura che quella con sua madre è il tipo di conversazione «che non mi dispiacerebbe avere con un bambino mio un giorno».
NUOVE CATEGORIE PROTETTE
Il Guardian punta a sdoganare e farci la paternale su una nuova normalità: una vita senza figli. Facendosi portavoce delle moderne childfree, donne che scelgono consapevolmente di non riprodursi, vittime di nuove forme di discriminazione da parte di una società di fossili viventi che ancora fa i figli alla vecchia maniera: lasciando spazio all’improvvisazione, producendo Co2 e pretesti per dare al Guardian la possibilità di dividere ancora una volta il mondo in quote per le “diversità” e nuove specie protette in base alle loro “scelte di vita”. Che sonno, ma perché dall’invito a farci i fatti nostri siamo passati all’obbligo di farci quelli di tutti?
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