E il giudice-Re Sole disse: “la Ragione sono io”

Di Esposito Francesco
05 Luglio 2000
"Peggio di una Colonna Infame". Parla un principe del Foro, avvocato, che ha partecipato a tutte le principali vicende processuali del dopoguerra, dall'oro di Dongo alla strage di Bologna, dal Golpe Borghese alla strage di piazza Della Loggia fino ai primi sequestri di persona. E oggi difensore di F. S., uno degli accusati di pedofilia al processo di Modena A colloquio con Gianfranco Bordoni

Negli atti processuali abbiamo letto di storie truci d’ogni genere. Per esempio quella raccontata da alcuni bambini, i quali, si legge negli atti, dichiarano che mentre stavano partecipando a un rito satanico all’interno di un cimitero, sarebbero stati visti da un passante (il muro di cinta del cimitero è alto tre metri, ndr) che avvicinandosi a loro avrebbe detto: “ehi, bambini, ma cosa state facendo?”. Lo scomodo testimone sarebbe poi stato catturato, addormentato e fatto a pezzi. Una bambina ha candidamente confessato di aver sgozzato un suo coetaneo e ha fatto i nomi di alcuni suoi compagni di classe che sarebbero stati uccisi allo stesso modo. E che dire della storia dei fantomatici Marco e Matteo – coi nomi mutuati dai Vangeli – coppia di presunti dentisti-pedofili, che nel loro affollatissimo ambulatorio avrebbero stuprato una media di cinque-sei bambini al giorno, naturalmente accompagnati dalle famiglie? Ovviamente non ci sono riscontri a questi racconti. Dunque, avvocato, in attesa delle motivazioni della sentenza, come spiega l’enormità delle condanne inflitte ai quattordici imputati del processo di Modena? .

Il fatto è che i bambini sono stati creduti per tutto quello che hanno raccontato, anche in assenza di riscontri precisi. Poi, dopo essere stati ascoltati dalle assistenti sociali, dalle psicologhe, dalle suore, dai magistrati, dai genitori affidatari – dopo essere stati martellati per mesi e, ormai lo si può dire, per anni – stranamente, quando arrivano al dibattimento in aula, l’unico momento in cui ci può essere un certo controllo da parte della difesa, non possono essere più sentiti, perché “potrebbe nuocere alla loro salute”. E dire che io avevo suggerito ai giudici, nel mio intervento conclusivo, di ritrovare moderazione ed equilibrio di fronte all’opinione pubblica turbata e alla morte di troppa gente – perché don Giorgio Govoni è il terzo imputato che muore, c’è una scia di sangue già piuttosto pesante.

Ma non sembra che abbiano seguito i suoi suggerimenti…

Del resto, nel corso dell’incidente probatorio, il presidente (Domenico Pasquariello, ndr) ha affermato, testuale, che è il Tribunale che stabilisce ciò che è impossibile e ciò che è possibile. Una chiara sfida alla ragione. E non parlo dei fatti che esistono solo nella fantasia dei bambini, non sappiamo da chi e come sollecitati. Ma anche ammettendo la veridicità di altri fatti, quelli che appaiono più credibili, la pena è chiaramente spropositata, mostruosa. Io ho fatto molti dei più grandi processi del dopoguerra, dall’oro di Dongo fino alla strage della stazione di Bologna, passando per altri 50/60 altri grandi processi di carattere nazionale. Ebbene, non ho mai visto niente di simile. Sono riusciti a stupirmi. Ma è mai possibile, ad esempio, che una vicenda sostanzialmente unitaria, venga divisa in due processi? Col risultato che l’imputato si ritrova con una pena di 30 anni anziché di 8… Per fortuna c’è la possibilità di chiedere l’accorpamento delle pene in sede di esecuzione. Per non parlare delle pene irragionevoli, senza proprorzione rispetto a quelle assegnate in casi analoghi. Perché in questo processo le richieste dell’accusa sono state superate – una cosa che avviene ben raramente, solo quando il pm è sprovveduto e sbaglia i calcoli – e con un tale rilancio che a chi doveva avere 8 anni ne sono stati assegnati 17! E poi la prima sentenza, incredibile, con capi di imputazione sgangherati, di una genericità tale che era impossibile la difesa: hanno condannato don Giorgio Govoni, indicando chiaramente la sua persona, senza che fosse imputato. Non contenti, gli stessi giudici, nella formazione identica, si sono messi nel collegio che doveva giudicare le stesse persone, insieme ad altre, per segmenti dei medesimi fatti. Una situazione con motivi giganteschi, clamorosi, paurosi di incompatibilità. Ho fatto di corsa l’istanza di ricusazione alla corte d’Appello di Bologna che l’ha accolta immediatamente. E ho saputo che quelli hanno manifestato disappunto per la decisione dei colleghi della corte.

Insomma, se qualcuno avesse partecipato a questo processo, non avrebbe più alcun dubbio sulla separazione delle carriere fra giudicante e requirente e se fosse un parlamentare solleciterebbe i suoi colleghi a fare approvare immediatamente una legge che è sempre più urgente se vogliamo che il postulato di parità tra accusa e difesa si avvicini ad avere una minima credibilità.

Ma come mai questo clima tanto esasperato?.

A Modena c’era un clima da caccia alle streghe, da “dagli all’untore”, come nella Storia della Colonna Infame. Qualcosa che ha impedito alla ragione di manifestarsi normalmente. E’ un processo che ha voluto sfidare la ragione, sfidare l’opinione pubblica, ribadire quello che fa comodo e chiudere la porta in faccia a chi ha osato fare delle critiche ai pm. Ma per il momento non voglio dire più nulla, anche per non offrire spunti che possano aiutare i giudici nella motivazione della sentenza. Preferisco aspettare settembre e leggere come questi signori giustificheranno cose che evidentemente non si possono giustificare. Sono curioso. La cosa certa è che se questa sentenza è una sfida, noi la raccoglieremo.

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