
…e adesso le riforme
E’ un Roberto Formigoni tonico e scalpitante quello che ci accoglie nell’ufficio presidenziale della Regione Lombardia. Ultimamente il suo motto è: poche comparsate in Tv e molto lavoro. Si muove come un ministro degli Esteri ed è appena rientrato da una missione in Cina. Si capisce il suo attivismo apparentemente lontano dal teatrino della politica nazionale. Nessuna regione italiana più della Lombardia sta oggi trainando il processo di internazionalizzazione del made in Italy e, al tempo stesso, un modello di devoluzione non fondato su basi ideologiche né etnicistiche. Un processo che non è certo a costo zero, ma che certo sta dimostrando sul terreno tutti i vantaggi per i cittadini di un sistema che si libera dai lacci e lacciuoli dello stato centralista. La Lombardia è all’avanguardia, non solo in Italia, ma in tutta Europa, per la sua sanità, istruzione, formazione professionale, agenzie per il lavoro. I problemi ovviamente non mancano, specie in questo frangente di sfavorevole congiuntura economica. Però il modello è quello lì: fare della Lombardia la Baviera italiana, modello di capitalismo popolare, solidale col resto del Paese, ma svincolato dalle pastoie romane.
Al congresso Udc pare sia rinata la Dc. Governatore, lei è contento?
Non è rinata la Dc, è solo nato un nuovo soggetto che ha tutta la dignità di un partito, in cui c’è gente che ha passione per l’impegno civile e dove si discute di politica: tutto questo mi fa soltanto piacere.
Scusi, ma il nuovo segretario Udc si chiama Marco Follini, undici anni di Cda Rai in quota Dc, e tutti gli altri, da Forlani a Cirino Pomicino, da Tabacci a Casini, sono ex segretari ed ex ministri della Balena Bianca degli anni ’80. E lei dice che questa non è la Dc?
Non è la Dc perché non ne ha tutte le motivazioni ideali, culturali e politiche, né le dimensioni. Non so se ha l’1% come dice Crespi o è al 10% come sperano loro, saranno le elezioni amministrative a dirlo. Ciò detto, l’Udc è un partito serio, che nasce all’interno della coalizione e che ha tutto il diritto di esigere quella pari dignità che ha richiesto e che, giustamente, Berlusconi gli ha riconosciuto…
E allora mettiamola così: lei auspicherebbe, come sembrano attendersi gli Udc, un rimpasto di governo o, addirittura, come dice Tabacci, “un nuovo governo”, un Berlusconi bis?
I temi del rimpasto o del Berlusconi-bis francamente non mi appassionano. Nell’epoca nuova, con il nome del presidente scritto sulla scheda, Berlusconi o Rutelli che sia, queste sono veramente competenze del presidente del consiglio eletto dal popolo. Per quanto riguarda l’invito a spostare l’asse del governo, ad aggiustare la rotta come dice il segretario Udc, bé, io penso che, come da programma elettorale e patto stabilito con gli italiani, l’esecutivo debba anzitutto essere preoccupato di svolgere quell’azione riformatrice incisiva richiesta dai cittadini e per la quale la Casa delle Libertà è stata chiamata a governare. Certamente ci sono singoli ministri e singoli comparti in cui questa incisività riformatrice non si è ancora palesata. Se gli Udc vogliono dire questo, sono d’accordo con loro. Se invece chiedono uno spostamento politico dell’asse di governo, questo non lo capirei…
In che senso lei dice “non lo capirei”?
Nel senso che il Governo deve realizzare il programma che abbiamo presentato al Paese il 13 maggio del 2001, deve realizzarlo bene, deve realizzarlo tutto e in fretta. La rotta è quella lì, l’asse è quello lì. Non c’è bisogno di spostare nulla, non c’è bisogno di maggior peso politico per un partito piuttosto che per un altro all’interno della coalizione.
Sa, è già stato scritto che l’Udc ha tutta l’aria (politica) di accreditarsi come alternativa alla Lega all’interno della Cdl…
No, questa lettura non la condivido. La coalizione è stata formata paritariamente, sta in piedi con tutti i partiti che la compongono e con tutti i pezzi del programma. Il contenuto della devoluzione è quello della nostra alleanza. La sostanza politica di cui è espressione la Lega è identica a quella dell’Udc e della Casa delle Libertà. La devoluzione che è stata votata in Parlamento è letteralmente il testo che si era concordato insieme…
Ma vede che, proprio sulla devoluzione, i centristi non hanno mostrato grande entusiasmo e, anzi, qualcuno di questi ha riecheggiato, diciamo così, il motivetto dell’opposizione, “attenti a non spaccare l’Italia”?
E invece, come sanno tutte le persone politicamente oneste e informate, non soltanto la devoluzione non spacca l’Italia, ma la rafforza in termini di democrazia, libertà, responsabilità, redistribuzione delle risorse ed efficienza a riguardo dei bisogni dei cittadini. Sì, certo, ammetto che sulla devoluzione la sinistra ha fatto della gran bella propaganda, attività lecita per altro, e a cui la Casa delle Libertà avrebbe forse dovuto rispondere in maniera più decisa e compatta. Ma comunque la sostanza resta, la legge è passata al Senato e ci auguriamo che concluda in fretta il suo iter alla Camera. Perché, ripeto, devoluzione non è affatto la spaccatura dell’Italia: non abroga un rigo della Costituzione e rappresenta un passaggio istituzionale normale in tutti i paesi federalisti, dove alle regioni o agli stati federati vengono attribuiti almeno quelle tre competenze – sanità, scuola e polizia – che sono state attribuite alle Regioni dalla legge recentemente passata in Senato. Con la devoluzione l’unità d’Italia non è più un’unità ingessata e monolitica, ma un corpo sociale vivo che finalmente si articola, acquista snellezza politica e responsabilità nella gestione delle risorse. Un’unità in cui ogni regione può, più liberamente, esaltare le proprie eccellenze.
E allora, secondo lei, sarebbe solo propaganda quella di chi dice che con questa devoluzione si rischia di duplicare i vizi dello statalismo: doppio centralismo, doppia burocrazia, doppi conflitti stato-regioni davanti alla Corte costituzionale?
Senta, ogni processo riformatore ha i suoi rischi. L’importante è esserne consapevoli. Non si può evitare il processo perché ci sono i rischi. Altrimenti che facciamo, ci dichiariamo incapaci a perseguire il disegno politico programmatico per cui siamo stati eletti e restituiamo agli italiani la delega che ci hanno dato? Perciò io dico: avanti con la devoluzione e con una devoluzione che deve significare essenzialmente due cose: sburocratizzazione e sussidiarietà, cioè semplificazione delle procedure e maggiori e più sostanziali poteri ai cittadini e ai corpi intermedi associati.
Non può essere che, anche all’interno della maggioranza, le resistenze alla devoluzione siano dettate da comprensibili istinti di sopravvivenza di un certo apparato centralista, risalente grosso modo alla logica consociativa della Prima Repubblica? Lei sa meglio di noi quanto ancora pesi nei ministeri e nella amministrazione pubblica certa burocrazia e funzionariato di ascendenza Dc-Pci…
È chiaro che i tentacoli ministeriali sono molto lunghi e possono raggiungere chiunque. Però c’è Berlusconi che deve rimanere il garante del programma e che ha il compito di contenere qualsiasi spinta centripeta rispetto al patto stabilito con gli italiani. Comunque, diciamo pure che rispetto ai toni alti, non da ministro, utilizzati in qualche circostanza da Bossi – pur senza minacciare la sostanza politica delle questioni – hanno risposto dall’altra parte alcuni toni eccessivamente polemici dei centristi. Le considero schermaglie comprensibili nel quadro della scena politica, dove non soltanto la sostanza conta, ma anche la visibilità e l’immagine dei suoi protagonisti. Sono siparietti che fanno parte del gioco. Però è bene non eccedere, anche perché sappiamo che al nostro elettorato giustamente non piace la disunità e la cacofonia delle voci.
“Convertiremo il Cavaliere alla Dc”. Cos’è, secondo lei, questa parola d’ordine di Cirino Pomicino, un paradosso o un programma realistico?
Non credo che il Cavaliere abbia bisogno di folgorazioni sulla via della Dc. E questo semplicemente perché Berlusconi sa bene che la stragrande maggioranza degli elettori Dc votano già per lui e sa che per governare l’Italia bisogna essere anche democristiani. Dico “anche” perché mi pare evidente che nella parte migliore di quella grande tradizione politica ci sia una lezione democratica di grande attualità.
Per esempio?
Per esempio nella gestione del partito. Da questo punto di vista qualche cambiamento in Forza Italia deve essere fatto.
Per esempio?
Per esempio è giunto il momento di porre sul tappeto la questione di una maggiore democratizzazione di Fi: i congressi non si tengono da tempo e tutt’al più riguardano solo il livello comunale e provinciale, mentre bisogna farli anche a livello regionale e nazionale. Se Cirino Pomicino chiede queste cose dico che sono cose condivisibili.
E invece cosa si dovrebbe chiedere di “non democristiano” a Berlusconi?
Bé, non si può certo chiedergli di convertirsi ai tatticismi e alle stagioni di estenuanti mediazioni che erano caratteristiche non solo della Dc ma di tutta la Prima Repubblica. Oggi siamo in un sistema di tipo diverso dove è necessaria la rapidità delle decisioni. Ecco, da questo punto di vista Berlusconi non deve democristianizzarsi.
Già, pochi tatticismi e rapidità nelle decisioni. E allora come interpreta l’intervento del presidente della Camera, che all’indomani dell’annuncio di Berlusconi di voler metter mano all’intera agenda riformatrice in tempi relativamente brevi dice che “le riforme non si impongono”?
Non lo interpreto, dico che l’intervento di Casini mi pare un po’ pleonastico. Mi pare ovvio che le riforme non si impongono, così come è ovvio che nessuna legge si impone. Esiste uno strumento in democrazia che si chiama Parlamento. Dunque è normale e giusto essere aperti al confronto, a cogliere i suggerimenti che vengono anche dall’opposizione. Però per dialogare bisogna essere almeno in due e bisogna essere almeno in due per arrivare a varare un piano di riforme condiviso. Ora, se dall’altra parte continuano ad arrivare soltanto maledizioni, anatemi, gesti propagandistici è difficile che, con tutta la nostra buona volontà, si riesca ad arrivare a votare insieme un testo o parti di un testo riformatore. L’iniziativa riformista del governo dovrà dunque fermarsi perché l’opposizione sceglie la strada dell’ostruzionismo ad oltranza? Non mi pare ragionevole. Sia chiaro, io sono il primo ad auspicare un reale disgelo e la ripresa di un vero dialogo tra maggioranza e opposizione. Con i problemi che abbiamo non capisco come si possa non dialogare per raggiungere intese su poche ma fondamentali cose da cui dipende il presente bene comune e il futuro del Paese. Nel nostro governo della Lombardia ci sono molti esempi di scelte condivise. Quindi, sì, sono per un disarmo bilaterale, credo che occorra smetterla di delegittimarsi a vicenda, penso che si debbano affrontare i problemi – compresi quelli delle riforme – con uno spirito bipartisan.
A proposito di spirito bipartisan: e delle sirene che invocano un ritorno al proporzionale che pensa?
Penso che sia una delle ipotesi nel pacchetto. Quello che mi sembra importante è mantenere il sistema bipolare con elementi di maggioritario molto forte e dall’altra parte andare al rafforzamento dell’esecutivo centrale. Abbiamo bisogno di un governo centrale più forte e più autorevole, il proporzionale è una delle possibilità.
Lei guida la regione più ricca e più avanzata sul terreno delle riforme in materia di sanità, scuola, lavoro. Lei e la sua squadra pensate di poter giocare un ruolo particolare nel prossimo futuro del panorama politico italiano?
La Lombardia è un esempio evidente di come la devoluzione e il cammino verso il federalismo possono essere vissuti come un miglioramento dei rapporti fra istituzioni e cittadini. Un esempio di come devoluzione, federalismo e sussidiarietà, non soltanto non provochino la rottura dell’unità del Paese, ma rappresentino un avanzamento in termini di democrazia, efficienza pubblica, servizi resi ai cittadini. Basta guardare la Lombardia per accorgersi che nulla di drammatico è avvenuto. È una rivoluzione sì, ma che va nella direzione invocata dai cittadini. Per il resto, con la riforma del titolo V della Costituzione e la sua norma applicativa, con il disegno di legge La Loggia, con la devoluzione e con l’inizio del federalismo fiscale che la Finanziaria impone entro il primo quadrimestre dell’anno prossimo e a cui bisognerà aggiungere la pienezza del federalismo fiscale, la Camera delle Regioni (nel 2006 i cittadini voteranno per una Camera sola; l’altra Camera sarà formata dagli esecutivi regionali), alcuni giudici costituzionali eletti dalle Regioni, ecco, dentro questo panorama nuovo dei prossimi mesi e dei prossimi 2-3 anni, il ruolo della Lombardia sarà pienamente inquadrato e sarà quello di una regione federata decisiva per la crescita di tutto il Paese.
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