Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Cara Guia, sono un giovane (oddio, si fa per dire) cantautore. Ho studiato tutta la vita per la gloria. Una gloria moderna, dell’epoca in cui non esistono i negozi di dischi e mica puoi andare a fare la muffa al Club Tenco, del decennio in cui esisti solo se diventi virale. Volevo una gloria duratura, non di quelle da due Blob che ottieni rispondendo “Nemo” quando al quiz di Rai 1 ti chiedono “di che cosa andava alla ricerca Proust nel suo capolavoro?”. Una gloria col bollino di qualità, certificata dalla critica oltreché dal pubblico.
Il Papa di Sorrentino mi ha insegnato che l’unica gloria multistrato in questo decennio è concessa a chi finge di schivare le luci del palcoscenico: se fai i graffiti e si sa chi sei, ti arrestano; se disegni sui muri facendo quello che tiene all’anonimato, sei Banksy. L’altra cosa che ho capito è che gli intellettuali sono contenti solo se possono dire fesserie come “contaminazione” e “mescola l’alto e il basso”.
Hanno abboccato, lo dico senza falsa modestia. È bastato mescolare il napoletano e l’inglese, i vestitini a fiori e lo slow motion (ai tempi tuoi si chiamava ralenty). Ho letto che ho raccontato una Napoli fuori dagli stereotipi: io, che ho citato Marechiaro e Forcella, Procida e Mergellina; io, che praticamente ho scritto il testo con la pagina TripAdvisor di Napoli. Insomma a quest’ora, con duecentomila visualizzazioni da anonimo, pensavo avrei rimorchiato un sacco grazie alla cultura del sospetto. Me la vedevo, la biondina a Marechiaro, dire “Ma non è che tu sei Liberato?”, e io abbassavo gli occhi, non posso parlare, piccola, ma ci siamo capiti.
E invece qualcosa non ha funzionato. Alla celebrazione di questa mia identità segreta hanno abboccato rivistucole di quelle su cui potresti scrivere tu (sia detto senza offesa, eh), ma non il giornale che legge mio padre la mattina col caffè e la sfogliatella. Come direbbero quelli della contaminazione, vado forte nell’indie ma non nel mainstream. Solo che io volevo approfittarne per infilarmi sotto le sottane delle fan di Fedez (che saranno sottane costosissime, e io devo sistemarmi, mica posso fare i video al rallentatore tutta la vita, mi sto facendo vecchio), non sotto quelle delle fan dello Stato sociale. Insomma, dove ho sbagliato?
Anonimo Napoletano
Caro Anonimo, ci ho messo due minuti a capire che non stavi scartando a priori le fan dell’Inps e che, benedetto Google, esiste un gruppo musicale chiamato Lo stato sociale (esiste ed è pure andato da Fazio e io non ne sapevo niente: come direste a Posillipo, mi sto facendo vecchia). Innanzitutto ti vorrei rassicurare: io ho quasi solo sottane Prada, e la tua Tu t’e scurdat’ ’e me era la più vista sul mio YouTube fino alla settimana scorsa (questa settimana è stata superata dal video in cui Rovazzi fa il piazzista di merendine e Gianni Morandi dice «ma questi giovani di oggi no, io ti giuro mai li capirò»). E siccome le riviste su cui scrivo, o anche solo potrei scrivere, mi guardo bene dal leggerle, ti conoscevo perché a svelarmi la tua esistenza era stata la pagina Facebook di Saviano, ovvero il mezzo di comunicazione più generalista di questo paese in cui i giornali li leggono solo i giornalisti (e li bramano solo i provinciali come te).
Quanto all’identità, capisco il problema. La scissione tra il non volere le palle scassate da gente che per strada ti chiede un selfie, e il chiederti cosa sei famoso a fare se poi al ristorante non ti danno un tavolo senza prenotazione. Dall’anonimato si esce solo a mezzo calunnia: hai provato a spargere la voce che in realtà sei Elena Ferrante?