
Lettere al direttore
Dissonanza 11

La nostra età
– ha scritto una volta
l’angloamericano –
è un’età di virtù moderata
e di vizio moderato
in cui gli uomini non deporranno la croce
perché mai l’assumeranno.
Si discute molto a Babilonia
e si scrive,
si cercano parole per spiegare tutto
e si è più contenti.
Si ha l’impressione
di aver risolto tutto,
di aver capito, di aver spiegato.
Ah, se tutti facessero
quello che dico!
Se tutti capissero
quello che il mio pensiero
pensa!
Come uno che abbia fatto il suo dovere,
– basta applausi, per favore,
ho fatto solo il mio dovere –
mi sono guadagnato il diritto
di riposare nei miei giusti pensieri.
Siamo così tranquilli,
così contenti di noi stessi
che possiamo persino
permetterci di soffrire,
di patire di sponda.
C’è chi indossa la sua faccia più pensosa,
la più grave tra quelle
che stanno nell’armadio,
e si sente in diritto di uscire,
di camminare per strada
a testa alta,
magari di parlare in una qualche radio
per fare la propria dignitosa figura.
L’Intruso che viene
prende in groppa la croce
e percorre la sua strada
di morte e risurrezione.
Viene a Natale
e va via a Santo Stefano,
ma nel suo andar via
è il suo autentico venire.
Il già della risurrezione,
qui, nella ganga di Babilonia,
è sempre e soltanto
nel non ancora della croce.
Il resto sono parole,
nebbia di fumo,
illusione, come il grembo
sterile di una vecchia,
travestita da ragazzina.
La realtà è il nascere
definitivo e irrevocabile
che comincia sul legno.
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