
Disoccupazione giovanile al 32 per cento, «è il frutto di politiche attive inefficaci»
La disoccupazione in Italia sale al 9,3 per cento, oltre 2 milioni e trecentomila persone sono senza lavoro, 45 mila in più rispetto a gennaio. È questo il dato più importante delle ultime statistiche Istat sull’occupazione, un campanello d’allarme a cui sicuramente deve rispondere anche la politica, oltre che l’economia. «Il problema italiano – spiega a tempi.it Michele Tiraboschi, docente di Diritto del lavoro presso l’università di Modena-Reggio Emilia – è semmai il basso tasso di occupazione regolare, l’imponente economia sommersa e la piaga della disoccupazione giovanile che è tre o quattro volte superiore a quella degli adulti».
Con questo drastico aumento della disoccupazione c’entra, anche in parte, l’attuale assetto del nostro mercato del lavoro? E come si contestualizza questo dato con il fatto che nel resto dell’area Euro i disoccupati si attestano attorno al 10,8 per cento?
In realtà la disoccupazione complessiva, pur preoccupante perché in costante ascesa, non è la principale criticità del mercato del lavoro in questo periodo. Lo si vede proprio comparando il dato con quello europeo, più elevato. Il merito di questa migliore tenuta è in buona parte da ascriversi al nostro sistema di ammortizzatori sociali che protegge il posti di lavoro più che indennizzare la disoccupazione. Il problema italiano è semmai il basso tasso di occupazione regolare, l’imponente economia sommersa e la piaga della disoccupazione giovanile che è tre o quattro volte superiore a quella degli adulti.
Il dato che colpisce è che in Italia il 32 per cento dei giovani sono disoccupati, praticamente uno su tre, e la situazione peggiora nel Meridione. In Europa invece il tasso è del 21,6 per cento e peggio di noi stanno Grecia e Spagna. Come mai la disoccupazione colpisce per lo più i giovani, e come mai in questi tre paesi?
In effetti i disoccupati non sono appena uno su tre giovani, ma uno su tre giovani attivi (così si calcola il tasso). Questa semplice formula permette di evidenziare il vero problema: l’inattività giovanile. È la più alta in Europa, più ancora che quella spagnola, dove la disoccupazione giovanile è una vera e propria emergenza sociale. Ciò che accomuna gli stati citati in questo ambito è l’inefficienza delle politiche attive del lavoro e, soprattutto, un’impostazione formativa che non permette il rapporto scuola-università-lavoro. La soluzione al problema, quindi, si gioca sulla capacità che questi paesi avranno di rendere operativo il contratto di apprendistato, quello stesso che permette agli stati dell’Europa continentale tassi di disoccupazione giovanile molto contenuti, anche durante la crisi.
Al centro del dibattito sul lavoro ci sono anche le 350 mila persone definite dalla stampa “esodati”. Secondo lei cosa si dovrebbe fare per risolvere il problema? Esistono davvero le risorse per coprire queste mobilità?
Tutte le riforme, per definizione, toccano i cosiddetti diritti acquisiti. In questo caso la riforma del ministro Elsa Fornero è intervenuta mutando le condizioni di contesto che avevano giustificato accordi privati tra diverse imprese e i propri lavoratori nei processi di riorganizzazione. Non vi è, quindi, una responsabilità diretta dello Stato, ma è innegabile che il quadro d’insieme che sta emergendo è preoccupante, con persone che rischiano di essere economicamente scoperte per anni e che sappiamo avere ben poche possibilità di rientrare nel mercato del lavoro (sono tutti lavoratori over 55). Certamente il Ministero interverrà mettendo a disposizione nuovi fondi, come il Ministro ha già affermato nei giorni scorsi.
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