La preghiera del mattino
Dice la Moratti che «nella vita bisogna scegliere da che parte stare». Appunto
Sulla lavoce.info Riccardo Cesari scrive: «Il prossimo anno saranno trenta anni esatti di tentativi di sistema maggioritario nelle elezioni politiche in Italia. Per un lungo periodo, quasi cinquanta anni, tra il 1946 e il 1993, il nostro sistema elettorale per l’elezione dei rappresentanti parlamentari è stato improntato a un sostanziale modello proporzionale: tot voti, tot seggi. Solo nel 1953, con la legge Scelba, o “legge truffa” secondo l’espressione che fu usata nelle furiose polemiche dell’epoca, ci fu un tentativo di introdurre un forte premio di maggioranza alla coalizione che fosse riuscita a superare il 50 per cento dei voti. Ma quel meccanismo, che premiava la lista vincente col 65 per cento dei seggi, non scattò per un soffio. Il centro democratico (Dc e alleati) arrivò solo al 49,8 per cento e l’anno dopo la legge fu abrogata. Nel 1993, si decise, con la legge Mattarella, di abbandonare il sistema proporzionale a favore di un sistema misto, a turno unico, maggioritario per il 75 per cento dei seggi e proporzionale per il restante 25 per cento, con soglia di sbarramento del 4 per cento. Voleva essere l’inizio di una nuova era, un tentativo di passare dalla Prima alla Seconda Repubblica, motivato da due principali obiettivi: promuovere la “governabilità” e la stabilità dei governi, rendere più efficace l’attività legislativa del Parlamento. Il “Mattarellum” (come lo chiamò Giovanni Sartori, politologo di fama internazionale, che mise così il copyright su tutti i nickname delle leggi elettorali italiane) durò solo tre legislature, 1994, 1996, 2001. Seguì, nel 2005, il “Porcellum”, in vigore nelle elezioni del 2006, 2008 e 2013, e poi, dal 2017, il “Rosatellum”, utilizzato nelle ultime due tornate elettorali, 2018 e 2022. Dunque, ben tre tentativi di maggioritario, tutti diversi, a parte la caratteristica comune del turno unico. Il Porcellum, in analogia con la vecchia legge Scelba, era un proporzionale con premio di maggioranza per arrivare al 54 per cento dei seggi (ma con diversi profili di incostituzionalità, dichiarati dalla Corte nel 2014). Il Rosatellum, tuttora in vigore, assomiglia invece al Mattarellum, ma con mix invertito, poiché la componente maggioritaria si ferma al 37 per cento, contro il 63 per cento di proporzionale più una debole soglia di sbarramento al 3 per cento. Una prima bozza del Rosatellum, poi sensibilmente annacquata, prevedeva invece un mix 50-50 con soglia di sbarramento al 5 per cento».
Dalla crisi dello Stato italiano iniziata con il 1992 e aggravata dal commissariamento della politica “dall’alto e dal fuori” iniziata tra il 2009 e il 2011 e (forse) conclusa con il 2022, si è pensato di uscire in diversi casi puntando solo su una modifica dei sistemi elettorali: peraltro con scelte sempre impasticciate dai condizionamenti di segmenti di partiti sopravvissuti della Prima Repubblica, “tecnicamente” morti, ma ancora concretamente esistenti e in grado di afferrare il vivo che si manifestava e di impedirne lo sviluppo. Il voto del 25 settembre registra una volontà dell’elettorato di dare mandato a governare lo Stato a una tendenza conservatrice analoga a quella che si sta delineando in tutta Europa. Potrebbe essere l’occasione per ripensare a un sistema politico adeguato ai tempi attuali, nei quali non esiste più lo spazio per le ideologie otto-novecentesche che hanno paralizzato il post ’92. A mio avviso bisognerebbe puntare su un rapporto più solido tra elettori ed eletti, e il sistema per consentire questo esito sarebbe puntare su collegi uninominali con finanziamento pubblico per chi prevede primarie nella scelta dei candidati. Naturalmente questa riforma andrebbe inquadrata in una revisione costituzionale che intervenga soprattutto su presidenza della Repubblica, bicameralismo e autonomia/federalismo (nonché rapporti tra magistratura e istituzioni elettive). Bisognerebbe uscire dai piccoli trucchi studiati per beneficiare questo o quel partito, o ancor peggio questo o quel personaggio, per puntare decisamente a un vero legame tra cittadini e loro rappresentanti.
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Sul Sussidario Giulio Sapelli scrive: «Il cancelliere tedesco Scholz ha compiuto un viaggio in Cina ricco di implicazioni non solo per il futuro tedesco ed europeo, ma altresì di tutto il sistema delle relazioni internazionali e del complesso del confronto di potenza che si avvicina sempre più a un tornante trasformativo decisivo. Le elezioni di medio termine negli Usa si svolgono non a caso nello stesso plesso di tempo e non vi è dubbio alcuno che le sanzioni imposte nei confronti dell’imperialismo russo aggressore dell’Ucraina dagli Usa e dall’Ue per ampliare il nesso di dominazione transatlantico fanno da sfondo a questo viaggio».
Mentre continuiamo a essere sommersi dalla retorica europeista, chi veramente vuole una maggiore integrazione continentale non può non esercitarsi in un’analisi critica che prenda spunto da riflessioni come quelle sapelliane.
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Su Open si riporta questa frase di Letizia Moratti: «Nella vita ci sono dei momenti in cui bisogna scegliere da che parte stare».
Ecco una frase che mi pare perfettamente adatta a chi ha confabulato con Giorgia Meloni per tentare di correre per la presidenza della Repubblica, con Matteo Salvini per diventare presidente della Lombardia con il centrodestra, e che infine ha chiesto a Enrico Letta di farsi scegliere dal centrosinistra come candidata alla guida della Regione.
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Su Huffington Post Italia Alfonso Raimo scrive: «Letta contestato nella piazza di Roma, che applaude Landini. Mentre Calenda a Milano canta Bella ciao. Sulla pace il centrosinistra finisce sottosopra. Il palco di San Giovanni, dopo quello di piazza del Popolo di un mese fa, salda ancora di più l’asse tra M5s, sinistra e Cgil. Così i dem sfilano a Roma ma anche con la posizione della piazza “terzopolista” di Milano».
Dirottato dall’insensata ambizione di Giorgio Napolitano di governare l’Italia dall’alto (e da fuori), il Pd alla fine si trova senza un’anima: non socialdemocratico atlantista come parte della sinistra europea, non radicale filocinese come il melenchonismo francese (in Italia ben interpretato dal trio Conte–D’Alema– Prodi). Il triste sbandamento del Pd è ben rappresentata dall’aver scelto Enrico Lettino come, per così dire, “leader”, credendo che Emmanuel Macron avesse inviato a Roma un prefetto napoleonico, mentre gli aveva rifilato una sorta di ispettore Clouseau.
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