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«Decreto Rilancio? Troppi soldi distribuiti a pioggia»

Serena Sileoni (Istituto Bruno Leoni) commenta il contenuto del decreto a tempi.it: «Ogni partito si è preso un pezzo, il testo è incomprensibile e mancano le coperture. Grosso errore ignorare le paritarie»

Leone Grotti
15/05/2020 - 3:00
Politica
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«Sa qual è il vero problema di questo decreto? È che c’erano troppi soldi da distribuire, più di quanti i governi ne vedranno mai o ne abbiano mai visti. E ogni ministero ha voluto piantare la sua bandierina». Commenta così a tempi.it il cosiddetto “decreto Rilancio” Serena Sileoni. Il vicedirettore generale dell’Istituto Bruno Leoni si sente un po’ a disagio all’idea di commentare «un decreto che ancora non c’è: abbiamo solo bozze che circolano piene di spazi vuoti».

Che genere di spazi vuoti?
Purtroppo i buchi si trovano nei punti cruciali e cioè alla voce “coperture finanziarie”, che non sono esattamente un dettaglio. Diciamo che non mi stupirei se il decreto definitivo fosse diverso da come ce l’hanno presentato.

Facciamo finta che quello che abbiamo visto e di cui parlano i giornali sia definitivo.
L’impressione che ho avuto nello sfogliare le oltre 500 pagine, peraltro illeggibili, è che ogni partito in ciascun ministero sia riuscito a strappare qualcosa di questa mole straordinaria di soldi da presentare ai propri referenti. L’interesse pubblico è stato un po’ trascurato.

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Perché dice così?
Non c’è una visione unitaria, a ciascuno è stato dato qualcosina: c’è un bonus per le colf, uno per i genitori, uno per i turisti, uno per le partite iva e via dicendo. Non mancano poi le solite bizzarrie: non c’è niente nell’emergenza coronavirus che giustifichi ad esempio il super credito per la riqualificazione energetica degli immobili. Non si capisce poi perché siano stati dati molti milioni alla provincia di Taranto perché rinnovi il suo parco mezzi di trasporto pubblico locale a causa dell’inquinamento. Il Covid 19 sembra più un’opportunità.

Che genere di opportunità?
Per fare un’altra bella infornata di insegnanti nella scuola statale. Per mettere in piedi un’altra ben retribuita task force per la politica industriale.

Queste cose però sono sempre successe.
Certo, è chiaro che questa volta il piatto è così ricco che tutti vogliono metterci mano. L’appetito vien mangiando, ma questa era l’occasione per fare un intervento complessivo rispondente alle due caratteristiche della legge: generalità e astrattezza. E invece non c’è né l’una, né l’altra. Solo redistribuzione di risorse a pioggia.

In 500 pagine avrà trovato provvedimenti lodevoli.
Lo stop all’acconto e al saldo dell’Irap, previsto per giugno, è positivo perché ogni misura di defiscalizzazione attuata con equità è benvenuta. Diciamo che trattandosi in generale di una tassa iniqua, andrebbe abolita del tutto, ma sicuramente se tutte le misure fossero state così, il decreto sarebbe stato più leggibile.

E invece?
Invece è scritto in modo così complesso e le misure sono così chirurgiche che tante persone, temo, non riusciranno nemmeno ad avvantaggiarsene. E questi sono tutti costi scaricati sui cittadini.

Perché?
Perché le imprese e i cittadini o dovranno pagare un intermediario (consulente del lavoro, commercialista, avvocato) per capire che cosa c’è scritto nel decreto oppure rinunceranno a priori ad ottenere benefici che pure spettano loro. E mancano ancora i decreti attuativi, con il carico di burocrazia che sempre si trascinano dietro. Basta vedere che cosa sta succedendo con il prestito garantito dallo Stato: o le imprese non lo chiedono o non riescono ad ottenerlo.

Nonostante 55 miliardi di risorse, per le scuole paritarie non c’è niente.
Non è vero, diciamo che non c’è niente rispetto a ciò di cui avrebbero bisogno. È stato rinfoltito un fondo già esistente per la fascia 0-6 anni, riguardante quindi asili nido e scuole per l’infanzia, ma non c’è quell’aiuto per il pagamento delle rette richiesto dalle scuole paritarie. E ricordiamo che agendo così lo Stato si tira la zappa sui piedi.

Perché?
Perché aiutare le paritarie non solo permette alle scuole di restare aperte, ma fa risparmiare allo Stato circa 5 miliardi di euro in un anno.

Da dove esce questa cifra?
Come Istituto Bruno Leoni abbiamo calcolato all’incirca quanti studenti saranno costretti a trasferirsi dalle paritarie alle statali, o perché chiuderà la scuola frequentata dall’alunno o perché i genitori non potranno più permettersi la retta. E siccome allo Stato un alunno che frequenta le paritarie costa infinitamente meno di uno che frequenta una scuola statale, alla fine ci rimetterà circa 5 miliardi in un anno. Oltretutto in un momento in cui avrà probabilmente problemi di spazio, dovendo distanziare gli alunni in classe.

Com’è possibile che in un momento di crisi economica come questo lo Stato accetti di perdere una simile somma?
Purtroppo la cecità del governo è dovuta al pregiudizio che considera le scuole paritarie non pienamente pubbliche, come invece sono al pari di quelle statali, ma come istituti per ricchi. Per colpa di questo pregiudizio ci rimetteremo tutti.

Il sostegno alla liquidità delle aziende permetterà alla nostra economia di ripartire?
È quello che speriamo tutti, anche se ribadisco che mancano ancora le cifre e molte cose potrebbero cambiare.

Questo decreto sarà il simbolo della fase due?
Non mi ero accorta che fossimo entrati nella fase due. Le imprese e i lavoratori vogliono essere messi nelle condizioni di tornare a lavorare in sicurezza. Ma il primo protocollo in questo senso è stato realizzato da un’azienda, da Fca. E ancora non abbiamo capito quali sono i criteri che determinano una maggiore apertura o chiusura delle attività. La disponibilità di posti in terapia intensiva? I minori decessi? L’esiguità di nuovi casi di coronavirus? Queste cose ci sono già, eppure la riapertura non è ancora partita. Serve chiarezza.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: decreto rilanciogiuseppe conteirapistituto bruno leoniScuole Paritarie
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