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Il ddl Cirinnà non va limato, va cancellato

«Così com’è scritta equipara le unioni omosessuali alla famiglia». Il giurista Mauro Ronco risponde a domande e provocazioni per capire tutto sulle unioni civili

Daniele Guarneri
01/02/2016 - 2:00
Interni
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – All’indomani delle manifestazioni che si sono svolte in cento piazze d’Italia a sostegno del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, Laura Boldrini ha dichiarato che «le piazze ci hanno detto che il nostro paese si aspetta una legge che è l’unico a non avere in Europa». A parte la falsità di questa affermazione, la presidente della Camera ha voluto dare il suo assenso anche sulla discussa questione della stepchild adoption. Tempi ha intervistato Mauro Ronco, ordinario di diritto penale dell’Università di Padova e presidente del Centro studi Livatino.

Professore, nell’appello “Unioni gay: i bambini, innanzitutto”, lanciato da articolo29.it e promosso da Magistratura democratica, oltre quattrocento giuristi hanno sottolineato che «i giudici di Strasburgo con la sentenza del 21 luglio 2015 hanno condannato l’Italia per inottemperanza all’obbligo positivo di dare attuazione ai diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso. Come sottolineato dalla Corte costituzionale, il Parlamento italiano è chiamato oggi ad approvare “con la massima sollecitudine” una “disciplina di carattere generale” che tuteli le unioni omosessuali». Il Parlamento sta rispondendo a questo richiamo con il disegno di legge Cirinnà. Quindi una legge dobbiamo averla?
È vero, Strasburgo così come la Corte costituzionale hanno chiesto al Parlamento italiano di disciplinare le unioni omosessuali. Ma, sottolineiamolo subito: lascia ai nostri politici la libertà di trovare la regolamentazione adeguata. Il legislatore italiano ha un’ampia gamma di possibilità per disciplinare queste unioni che, giustamente, chiedono di essere tutelate. Dalla sentenza del luglio 2015 non si può dedurre una modalità obbligatoria, quindi non è detto che il ddl Cirinnà sia la scelta corretta. Anzi: i parlamentari devono tener conto di una sentenza, sempre della Corte costituzionale, ma che viene prima, la numero 138 del 2010. È fondamentale: la Corte ha stabilito che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio», richiamandosi all’articolo 29 della nostra Costituzione: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». Di conseguenza il ddl Cirinnà, così com’è scritto, non rispetta i paletti che la Corte costituzionale ci ha ricordato.

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E quindi come si possono salvaguardare i diritti delle persone omosessuali?
Ad esempio garantendo i diritti individuali. Tutelando le persone che hanno una relazione di tipo sociale stabile, ma che non può essere equiparata a una famiglia. Sono due cose completamente diverse, mentre il ddl in discussione regolamenta questi rapporti come se fossero una famiglia, e così vìola la Costituzione. E ricordiamolo: non tutto quello che dice Strasburgo è vincolante.

La legge Sacconi e di altri senatori di Area Popolare (Ncd-Udc) che presenta un Testo unico sui diritti dei conviventi va in questa direzione?
Le coppie omosessuali sono relazioni personali che meritano di essere apprezzate nei loro profili individuali; rapporti affettivi, umani, che vanno protetti. L’ordinamento italiano già prevede diritti per le persone impegnate in queste convivenze. Il Testo unico cerca di fare ordine e renderli più organici per quanto riguarda sanità, carceri, locazione e risarcimenti. E se esistono altri impedimenti dovranno essere eliminati, l’affettività va rispettata.

Secondo Repubblica i tecnici del Quirinale hanno consigliato di tenere in considerazione la sentenza della Corte costituzionale e Luigi Zanda, capogruppo del Partito democratico, ha fatto sapere che sono al lavoro per cercare di ridurre i rimandi agli articoli del codice civile sul matrimonio. È un tentativo di limare qualcosa nel ddl in discussione in modo da farlo approvare?
Secondo il mio parere la legge non va limata, dovrebbe essere cancellata. Se fossi in loro penserei a un cambiamento radicale delle normative relative alle unioni civili. Invece per non fare riferimenti agli articoli del codice civile destinati alla famiglia mi sembra che vogliano fare dei cambiamenti nominalistici.

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Ma la senatrice Monica Cirinnà è convinta che la legge non vada cambiata perché ha già accolto l’indicazione della Consulta del 2010. Infatti le unioni civili sono chiamate fin da subito “formazioni sociali specifiche”.
Ecco l’esempio di un cambio nominalistico. Le ripeto, la legge si può leggere solo in un modo: così com’è scritta equipara le unioni omosessuali alla famiglia. Non esiste altro modo di leggerla, a meno che non si voglia raccontare alle gente qualcosa di ingannevole. La Cirinnà non vorrebbe cambiare nulla del suo testo perché è persona coerente alla sua idea. Che è quella di equiparare le unioni civili alla famiglia. Da quello che emerge, però, ho l’impressione che qualcuno all’interno del Pd stia spingendo per fare qualche passo indietro, almeno dal punto di vista nominalistico, per evitare censure di carattere costituzionale. Hanno capito che devono essere un po’ meno “sfacciati” e quindi cercano di mettere qualche pezza.

È sicuro che una legge si può leggere solo in un modo? Sul Messaggero il giudice Cesare Mirabelli afferma che «il ddl definisce le unioni civili “specifica formazione sociale”, ma questo non basta e per rispettare il dettato costituzionale ci vorrebbe una disciplina adeguata». Nello stesso articolo, un altro giudice, Enzo Cheli è convinto che «non c’è alcun rischio di incostituzionalità», perché «queste materie sono soggette all’evoluzione dei costumi e della mentalità». Vede, ognuno la pensa come vuole.
Non credo. C’è una differenza tra le due affermazioni. Mirabelli legge la sentenza del 2010 e interpreta la Costituzione secondo il suo significato giuridico. Queste unioni non sono una famiglia, sono unioni che hanno caratteristiche diverse. Nel ddl si parla di “formazione sociale specifica” per nascondere la realtà giuridica. Ma questo tentativo non basta. Il giudizio di Cheli, invece, mi sembra molto soggettivo: cosa vuol dire che i tempi sono cambiati? In che modo? Chi lo dice? Il 20 giugno scorso a Roma c’erano decine di migliaia di persone che hanno testimoniato che i tempi, per loro, non sono cambiati. Gente comune arrivata in piazza San Giovanni per difendere la famiglia naturale, quella descritta nella nostra Costituzione. Quindi? Bisogna dimostrarlo che i tempi sono cambiati, non basta dirlo. Come si può leggere e interpretare la Costituzione in base al periodo storico? Allora, mettiamola così, se il Parlamento ha la forza di dimostrare che i tempi sono cambiati, abbia il coraggio di modificare la Costituzione perché la ritiene inadeguata al contesto sociale, storico e culturale di oggi. Ripeto, sotto un profilo giuridico, la Costituzione dice una cosa precisa sulla famiglia. Violarla sarebbe come fare un colpo di stato.

Crede che arriveranno a tanto?
La coerenza imporrebbe che prima di ogni altra legge si sforzassero di cambiare la Costituzione. Per farlo devono avere il coraggio di dire che la famiglia non è un’istituzione naturale ma convenzionale, stipulata attraverso l’accordo tra due persone. Smettano di dire che la nostra è la Costituzione più bella del mondo. Di solito lo sentiamo dire da loro, ma ora lo ricordo io: il nostro testo costituzionale è stato scritto con l’accordo di cattolici, liberali e comunisti. Chissà perché ora ci si dimentica di questa cosa.

Luciano Fontana in un editoriale sul Corriere della Sera ha scritto che la politica non dovrebbe affrontare leggi che riguardano i diritti delle coppie, eterosessuali o no, dei bambini, delle famiglie, delle persone. «Le soluzioni proposte sono destinate a essere cancellate alla prima prova in un tribunale».
Non commento, lascio dire queste cose ai giornalisti… Le interpretazioni del giudice devono essere sempre conformi alla Costituzione.

Perché due persone omosessuali non possono adottare un figlio? Basterebbe cambiare la legge 184/1983 che disciplina l’adozione e l’affidamento.
Ci sono tante persone buone, competenti, amorevoli che possono prendersi cura dei bambini. Non è questo il problema. L’educazione si esercita in via ordinaria attraverso la presenza di una duplice figura: quella maschile e quella femminile. La legge deve regolare situazioni di carattere generale, che valgono per l’intera società.

Ma questa è la posizione di un cattolico o di un giurista?
È la posizione di chi guarda la realtà, la storia, la cultura. Da sempre i bambini sono stati cresciuti ed educati in un rapporto tra uomo e donna. Alcuni aspetti della formazione del bimbo hanno bisogno di determinate caratteristiche femminili e altri di caratteristiche maschili. È stato Sigmund Freud, autore non propriamente cattolico, a mettere in evidenza gli aspetti fondamentali di un uomo e di una donna che sono trasferiti al bambino.

Ma, se i bambini crescono bene in una famiglia dove è venuto a mancare il padre o la madre, perché non possono crescere bene in una famiglia omosessuale? Non è un modo di discriminare queste unioni?
Il filosofo Giambattista Vico, morto nel 1744, diceva che le società si reggono su tre grandi istituti: i matrimoni, le famiglie, le sepolture. Se noi abbandoniamo anche solo uno di questi istituti le società crollano immediatamente. La nostra storia millenaria si è sempre basata su questi tre istituti. Vogliamo cambiarla adesso?

Tags: cirinnàcorte costituzionaleMauro Roncostepchild adoptionunioni civili
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