
Da un lettore Albanese
Sono un ragazzo albanese. Vivo a Milano da circa tre anni e, dopo un periodo di lavoro in un bar, adesso frequento una scuola. Ho sempre cercato di integrarmi e anche ora, con i miei compagni di studio, non faccio differenze, come loro non fanno differenze nei miei confronti. Sono straniero, ma soprattutto sono albanese: e allora? Che cosa vuoi farmi? Vuoi mandarmi via dall’Italia? Vuoi farti giustizia da solo, come diceva quell’articolo di giornale, “Agli albanesi ci pensiamo noi”? Pensi che siamo diversi, come degli esseri di un altro mondo? O che siamo più cattivi, come scriveva un giornalista, che si meravigliava che tanta cattiveria fosse raccolta in un popolo così piccolo? E che dava la colpa ad Enver Hoxha, che ha tenuto l’Albania completamente separata dal resto del mondo per cinquant’anni? Ma non pensa, questo giornalista, che spesso uno è costretto a prendere la prima occasione che gli si presenta davanti? Che uno entra nel giro della delinquenza perché non saprebbe altrimenti come campare? Che uno accetta di passare l’Adriatico con gli scafisti perché spesso è l’unica opportunità per arrivare in una Nazione che viene descritta come il Paese di Bengodi?
Io non voglio difendere ad oltranza il mio popolo, né disconoscere le ragioni storiche, che peraltro sono molto più profonde di quelle risalenti al comunismo: dico solo che la questione è molto più complessa di quanto sembra. La questione albanese è diventata un problema per la mentalità italiana perché è la questione di un popolo piccolo (in tutto siamo tre milioni di persone) ma molto orgoglioso delle sue radici e che ha una chiara identità nazionale. Questa identità nazionale albanese non è riconducibile ai soliti schemi mentali dell’italiano medio né del giornalista alla moda: non è “europea” almeno nel senso più ovvio del termine; non è neanche slava, perché gli albanesi sono la popolazione autoctona, e la nostra lingua non c’entra niente con le lingue slave.
Noi siamo i discendenti degli Illiri. Capire l’Albania e le sue radici storico-culturali implica dunque un impegno, un approfondimento che oggi è sempre più raro trovare, in quanto ci si accontenta dei luoghi comuni già preconfezionati. Quello albanese è un popolo che non solo ha vissuto cinquant’anni di comunismo (e di un comunismo peggiore di quello cinese, nel quale si poteva essere fatti fuori perché si criticavano i prodotti agricoli del regime, o, come mio zio, essere uccisi perché accusati di aver rubato un pezzo di formaggio da un negozio), ma ha combattuto strenuamente contro i Turchi ai tempi di Skanderbeg. L’Albania infatti era cattolica e lottò vigorosamente contro i musulmani: poi i Turchi invasero la Nazione, occupandola per cinque secoli. Questo è confermato dal fatto che i Turchi invasero il centro del Paese, islamizzandolo, ma non riuscirono ad islamizzare gli abitanti dell’estremo nord e dell’estremo sud del Paese, che infatti, fino ad oggi, sono rimasti cattolici.(…) Vorrei solo ricordare il mio stupore di quando, appena arrivato a Milano, ho visto l’Accademia delle Belle Arti di Brera: era uguale alla mia scuola, all’Accademia delle Belle Arti di Tirana, che infatti è stata costruita dagli italiani negli anni dal ’39 al ’42.
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