Da Pio XII a don Giussani

Di Caprio Padre Stefano
19 Aprile 2000
Già nel 1943, Pio XII aveva antevisto il tramonto dell’Azione Cattolica in quanto organizzazione su base parrocchiale e stimolato la creazione di un movimento di laici negli ambienti della scuola e del lavoro, attraverso uno strumento di presenza che il Papa chiamava “raggio”. Curiosamente l’AC non raccolse quella indicazione e restò organizzazione di stretta osservanza parrocchiale. Mentre a partire dal 1954, il “raggio” creato da don Luigi Giussani al Berchet di Milano, divenne un punto di irradiazione della proposta cristiana nel mondo moderno. Conversazione con una storica russa (e con un laico miscredente italiano)

Si intitola “Il fascismo, la Chiesa e il movimento cattolico in Italia.1922-1943”. È la prima monografia russa sul movimento cattolico in Italia all’epoca del fascismo ed è stata recentemente edita dal prestigioso Istituto di storia mondiale dell’Accademia russa delle scienze. Si tratta di un lavoro di scientifica documentazione sull’azione della Chiesa nel ventennio, e che tra l’altro spezza una lancia a favore di Pio XII nell’ambito della vexata quaestio di un presunto antisemitismo e colpevole “silenzio” sull’Olocausto da parte del Pontefice. L’autrice dell’opera, Evghenija Tokareva, figlia di un celebre storico e teorico del materialismo scientifico, ricorda in proposito che, ad esempio, quando nel 1941 Goebbels impose la chiusura delle trasmisioni della Radio Vaticana, giustificò la disposizione spiegando che “esse sono più pericolose per noi di quelle dei comunisti”. Tempi ha incontrato la Tokareva nella sua residenza di Mosca.

Professoressa Tokareva, il recente viaggio di Giovanni Paolo II ha riportato in primo piano, tra le tante suggestioni della visita, anche la questione del rapporto tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico. Nel suo libro lei tratta anche la questione del cosiddetto “silenzio” di Pio XII riguardo all’Olocausto.

In effetti, anche leggendo l’ultimo libro del gesuita Blet (“Pio XII e la seconda guerra mondiale”, ed. Paoline ndr) mi sono confermata nell’opinione che la ragione del relativo silenzio del Papa sulla strage in corso degli ebrei, come emerge dai documenti, era dettata unicamente dalla prudenza, per evitare di peggiorare ulteriormente la situazione. Si vedano i continui tentativi del nunzio in Germania, Orsenigo, di intervenire direttamente presso il ministero degli esteri nazista, e le continue minacce che ne derivavano. Come ricordo nel mio libro, nel gennaio del 1941 Pio XII era già pronto a rivolgere alla Germania una ferma protesta per l’arresto e la deportazione in lager di 40.000 ebrei, ma poi bruciò la lettera già pronta per la pubblicazione sull’Osservatore Romano, spiegando che le proteste già espresse in precedenza avevano portato a durissime rappresaglie. Nel 1943 a Dachau erano registrati 2.644 sacerdoti di 24 paesi. Per la stessa ragione, sotto le minacce di Goebbels, alla fine del 1941 la Radio Vaticana era stata costretta a sospendere le trasmissioni: il solo fatto di ascoltarla era fonte di persecuzioni. Fare i nomi degli arrestati e dei deportati, ebrei o cattolici che fossero, era un modo sicuro per causare conseguenze ancora peggiori. C’è un’altra cosa nel libro di Blet che anch’io vorrei sottolineare: l’informazione sul genocidio degli ebrei era molto limitata, non si sapeva nulla di concreto sulla situazione interna dei lager. Il Vaticano non riusciva neppure ad avere contatti con la Polonia invasa, che era assolutamente chiusa; il nunzio Orsenigo chiese innumerevoli volte di potervisi recare, ma non fu aperto alcuno spiraglio. Le proteste della Santa Sede non furono poche, soprattutto nei confronti dei paesi limitrofi alla Germania, come ad esempio in Cecoslovacchia. Ma si aveva timore di protestare direttamente contro la Germania, perché questo, come già detto, non avrebbe fatto altro che scatenare ancora di più i carnefici. Certo, si può sempre dire che non si è fatto abbastanza, ma è molto scorretto applicare ai protagonisti di quel periodo storico i criteri e le conoscenze che abbiamo oggi. Che Pio XII fosse filo-tedesco, inoltre, non voleva certo dire che fosse filo-nazista, o peggio ancora antisemita. Egli amava il popolo tedesco, che conosceva da vicino, come un pastore può amare il proprio gregge. Dopo la guerra poi diverse organizzazioni ebraiche hanno ringraziato Pio XII per l’aiuto che il Vaticano e le chiese cattoliche hanno dato a moltissimi ebrei per scampare all’Olocausto. È vero che il Vaticano aiutava principalmente gli ebrei battezzati, ma questo è logico, anche perché i convertiti non venivano aiutati dalle altre organizzazioni ebraiche e quindi erano i più indifesi. Perfino uno storico ebreo assai anticattolico come Friedlaender, in un libro recente, riconosce questi meriti di Pio XII, statistiche alla mano.

Ci sono state differenze di atteggiamento da parte del Vaticano rispetto ai due totalitarismi, nazismo e comunismo? Le differenze dipendevano unicamente dagli episodi più o meni gravi che si succedevano, svelando gli orrori del comunismo e del nazismo. A proposito di “silenzio”, il Vaticano applicava gli stessi criteri anche nei confronti delle stragi comuniste: per esempio, non protestò nei confronti dell’eccidio delle Fosse di Katyn, sempre per evitare di peggiorare la situazione. È importante capire i momenti storici nel loro contesto. Lo stesso Pio XII, come a suo tempo anche Pio XI, conosceva bene i comunisti; proprio questi due papi, in veste di nunzi o delegati apostolici in Polonia e Germania, avevano condotto tutte le trattative con i bolscevichi prima della guerra, trattative estenuanti e piene di fraintendimenti; oggi è noto dai documenti che i bolscevichi usavano questi contatti soltanto per gettare fumo negli occhi, e poter avere mano libera all’interno. Dopo il 1930 il Vaticano aveva ormai abbandonato tutte le illusioni nei confronti del comunismo e delle possibilità di accordarsi con esso; quando Litvinov venne a Roma nel 1934, in Vaticano non fecero alcuna mossa per riceverlo.

Quali sono oggi le relazioni tra Mosca e il Vaticano? Certo non quelle degli anni Trenta! Anzi, oggi sarebbe forse un buon momento per provare a fare un Concordato. Negli ultimi quindici anni abbiamo già passato varie fasi: Gorbaciov vedeva nel Vaticano una potenza politica, importante per aiutare la Russia a non farsi più temere dall’opinione pubblica internazionale; il primo Eltsin cominciò a rapportarsi alla Santa Sede come organismo religioso, con cui trattare questioni etico-religiose più che strettamente politiche; a partire dalle elezioni del 1996, per la paura di essere battuto dai comunisti, Eltsin cominciò a cercare attivamente l’appoggio della Chiesa ortodossa, il che ha molto irrigidito la politica religiosa dello stato. Con Putin non si può ancora dire, ma molto dipenderà dall’atteggiamento dei vertici della Chiesa ortodossa.

L’argomento principale del suo libro è l’Azione Cattolica nel periodo del fascismo e durante la guerra. Come si sviluppò il rapporto dei laici cattolici con la gerarchia in quei periodi? La mia tesi è che non vi fu una differenza di atteggiamento tra Pio XI e il suo successore: la riforma dell’Azione Cattolica voluta da Pio XII era nella linea di papa Ratti, quella della centralizzazione e della sottomissione alla gerarchia. Lo scopo principale era difendere l’AC dalla pressione fascista, organizzarla in modo da preservarla dalla distruzione. A parte questo scopo difensivo e pratico, c’è poi da notare che durante la guerra Pio XII venne maturando alcune convinzioni rispetto al futuro ordine sociale e la necessità di lanciare una grande missione “laica” di penetrazione del mondo, una sorta di movimento che realizzasse gli ideali cristiani di giustizia sociale nel mondo. Credo che questo non fosse ancora chiaro nella mente del papa prima del 1943, e si può seguirne l’evoluzione rileggendo i famosi radiomessaggi natalizi e pasquali degli anni bellici. Una forma molto interessante di attività stimolata dal Papa in quegli anni, fu ad esempio la formazione nell’ambito giovanile dell’AC di un nuovo nucleo di attivisti, che ricevette la denominazione di “raggio” e che secondo l’espressione usata del papa, doveva “penetrare e irradiare a poco a poco tutta la realtà circostante”. Questi “raggi” avrebbero dovuto radunare i membri dell’AC che, pur provenendo da parrocchie diverse (l’AC si formava su base territoriale), si ritrovavano insieme nelle scuole e negli ambienti di lavoro e coinvolgere in questi modi studenti e colleghi nelle fabbriche e negli uffici. I fascisti videro subito in quell’iniziativa di organizzazione dei “raggi” un tentativo di penetrare con l’astuzia a tutti i livelli della vita dei lavoratori e della gioventuí, per sottometterli alle direttive della Chiesa. Ma proprio questa idea della “penetrazione capillare” fu poi il segreto della vittoria della Democrazia Cristiana dopo la guerra, sebbene il partito cattolico non si riferisse molto a questa forma di cattolicesimo missionario e popolare e la Dc nacque da un’élite politica che si interrogava sulle forme di gestione del potere. E invece anche nelle parti più “dottrinali” dei suoi radiomessaggi, Pio XII sottolineava l’importanza della decentralizzazione e dell’organizzazione della società a partire dal basso, coerentemente ai suoi stimoli all’azione di base dei laici. Tali indicazioni hanno grande importanza anche oggi, e anche guardando allo sviluppo della società russa, che lascia ancora pochissima libertà all’iniziativa dei cittadini.

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