Sono entrato in Italia nella primavera del 1991, dopo “l’esodo biblico” di marzo, dopo un lungo viaggio prima attraverso la Grecia e poi attraverso tutta la Jugoslavia, con una tappa a Pristina, entrando poi in Italia da Trieste. Avrei avuto la possibilità di andare in Austria, dove mi avrebbero riconosciuto lo status di rifugiato politico, ma ho scelto l’Italia perché conoscevo la lingua e perché culturalmente noi albanesi ci sentiamo più vicini a voi che la popolo tedesco. Per cinque anni sono rimasto in Italia senza permesso di soggiorno, in possesso di un foglio di via, perché ero entrato via terra e non via mare, come facevano i miei connazionali. Per cinque anni ho conosciuto la vita amara del clandestino, arricchendo il mio curriculum vitae con i mestieri più vari: lavapiatti, aiutocuoco, manovale, imbianchino, addetto alle pulizie di uffici, fattorino, factotum. In questo modo ho arricchito la mia vita di tanti volti amici: ricordo per tutti don Sandro della parrocchia di S. Carlo a Sesto San Giovanni, dove mi avevano adottato e le nostre discussioni su religione, filosofia, letteratura, la prima volta che ho letto il Vangelo e le lacrime di commozione per quell’uomo perseguitato ingiustamente. Da noi ogni religione era stata proibita; il mio paese era l’unica ateocrazia al mondo; noi albanesi vagavamo senza la bussola di una fede. Leggere il Vangelo a 25 anni non è come sentirne la storia da bambini: si scatena una rivoluzione nel tuo cuore che ti sconvolge la vita. Poi ho incontrato persone di Comunione e Liberazione che mi hanno aiutato nel mondo del lavoro, ma anche facendomi compagnia quando mi sentivo solo. Tre anni fa ho conosciuto Tempi ed è subito cominciata la mia collaborazione prima con qualche poesia, poi con articoli sull’Albania e gli albanesi e sulla situazione in Kosovo. È stata un’esperienza interessante e bella. Almeno per me.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi