
Da ignorante a ignorante
Volevo vedere 007, mi hanno fatto vedere Celentano: noia. È l’unica parola che esprime in maniera conclusiva le quasi tre ore di spettacolo in quell’inquietante scenografia da post disastro nucleare. Mezz’ora l’ho apprezzata: Gaber e le sue canzoni, la pancia all’ottavo mese di Asia Argento (per partecipazione), Giuliano Ferrara (quando fa il morto) alcune battute di Albanese tra cui quella che forse Celentano avrebbe dovuto prendere alla lettera: «Ma chi ti scrive i dialoghi, Bernardo, il servo muto di Zorro?». Anch’io, come Celentano, su certe cose sono ignorante, ma non stupida e se voglio sapere qualcosa su Ogm e mucca pazza non vado certo a leggere Corriere della Sera e Repubblica. Anche i miei figli sanno che molti giornalisti (per ignoranza, per spettacolarismo?), dicono un sacco di balle. Andrei a leggere gli addetti ai lavori, medici, scienziati come il professor Salamini intervistato dal giornale che mi ospita, e perlomeno mi porrei delle domande. Con simpatia proporrei un altro addetto ai lavori, questa volta autore Tv, Antonio Ricci: «È difficile ricevere una spiegazione dalla tivù, che può riversarti addosso una quantità enorme di immagini in movimento, non un ragionamento che abbia dei tempi televisivi. L’uomo che si ferma a pensare (e anche a spiegare) in tivù fa sempre la figura del fesso» (pagina 104 Striscia la tivù). E magari gli chiederei, in ginocchio, di scrivermi il prossimo programma. Su due cose mi trovo d’accordo con Celentano: primo quando parla di businness con Ferrara: «Dovremmo essere tutti poveri?». E il molleggiato risponde (ridendo imbarazzato): «Sì». Anch’io vorrei essere povera come Celentano. E poi quando parla di libertà: anch’io sono libera: la prossima volta guarderò 007.
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