La crisi dell’Occidente non è una notizia fortemente esagerata

Di Piero Vietti
31 Marzo 2023
La presentazione a Roma del saggio dello storico Eugenio Capozzi sul mondo post-occidentale, che ragiona senza censure sulla crisi della globalizzazione
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Non è più l’Occidente di una volta, sebbene i cantori delle meraviglie della società liquida e della globalizzazione continuino a suonare la cetra di fronte alle sue rovine in fiamme. Serve realismo per constatare che l’esito della cosiddetta età della globalizzazione non è stato quello che osservatori, élite e classi dirigenti occidentali si aspettavano. Serve realismo per non parlarne da tifosi – difficilissimo nell’era della polarizzazione – ponendosi le domande giuste. Lo ha fatto in un saggio recente (Storia del mondo post-occidentale – Cosa resta dell’età globale?, uscito per Rubbettino) Eugenio Capozzi, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

La globalizzazione dal 1989 a oggi

Capozzi libroDel suo libro, e dell’approccio realista necessario per giudicare gli ultimi trent’anni della storia mondiale, Capozzi ha parlato mercoledì sera a Roma, presso la sede di Confedilizia, con Daniele Capezzone e Lorenzo Castellani. Rispondendo alla domanda se si possa fare la storia dei propri tempi, Benedetto Croce diceva che si deve fare, ha sottolineato Capozzi spiegando il perché di questa sua opera sul destino della globalizzazione. Dato per assodato che il 1989 è un anno “spartiacque” della storia recente, a oltre trent’anni di distanza è doveroso chiedersi che cosa è stato il mondo globalizzato, che cosa ne è oggi, come è cambiato il nostro modo di vedere i processi di globalizzazione, e soprattutto che fine hanno fatto questi processi: continuano, sono finiti, sono cambiati?

Capozzi ha provato a rispondere a queste domande facendo innanzitutto una rassegna degli eventi dalla caduta del Muro di Berlino a oggi cercando di tenere insieme tutte le dimensioni della storia: politica, culturale, economica, della comunicazione e delle tecnologie, delle relazioni internazionali. La risposta, ha detto parlando del suo saggio «è che nel periodo post Guerra fredda la civiltà occidentale aveva davanti una prospettiva di egemonia mondiale che non si è però realizzata nei termini in cui tutti si aspettavano si realizzasse».

La Storia non è finita, lo scontro di civiltà è reale

Si è assistito al crollo del mito dell’unipolarismo, la parola più diffusa per spiegare come sarebbe stato il mondo dopo il 1989, quando l’egemonia statunitense e la way of life occidentale sembravano inarrestabili. È qui che Fukushima aveva parlato di “fine della storia” intesa come campo di battaglia dei conflitti ideologici, e tutti prevedevano una graduale universalizzazione del modello occidentale fondato su diritti umani, individualismo, economia di mercato, pluralismo, democrazia temperata dalle Costituzioni. I primi dubbi sulla tenuta di questo sistema si sono insinuati però già a fine anni Novanta, quando fu evidente che l’espansione della globalizzazione non era più lineare e pacifica, e iniziava ad apparire come conflittuale.

È l’altro “anno spartiacque” della storia recente, sottolinea Capozzi, il 2001, quello degli attentati islamisti alle Torri Gemelle di New York. «A quel punto diventa evidente lo scontro delle civiltà profetizzato da Samuel Huntington: al di sotto dei conflitti ideologici dei decenni precedenti, tutti interni all’occidente, sotto l’oceano della storia, c’è un fondo roccioso resistente, che è il confronto tra identità diverse».

Basta osservare come la globalizzazione si è attuata nei vent’anni successivi per capire che su questo punto il politologo americano aveva ragione: «Non si è attuata come integrazione, pacificazione, omologazione, ma come il delinearsi di poli conflittuali di potenza, di potere economico e di civiltà», ha detto Capozzi. «Tutti questi poli che oggi vediamo operare, confliggere e dialogare tra loro, hanno in comune fattori identitari forti». Basta pensare alla Cina, all’India, alla Russia, ai paesi islamici, all’America latina, dice lo storico: «La riconnessione identitaria è invece debole in occidente, dove negli ultimi decenni si è avuta una secolarizzazione radicale, e le élite hanno adottato il relativismo estremo come cultura, da cui sono nati il wokismo, il politicamente corretto e la cancel culture».

L’Occidente c’è ancora, ma deve ripensarsi

Da qui la provocazione di Capozzi, nel suo libro e all’incontro di mercoledì a Roma: «Io penso che si possa parlare di mondo post-occidentale perché, a differenza di quel che si pensava, non si è occidentalizzato. L’Occidente c’è, detiene ancora punti di forza, tra cui l’avere diffuso un modello di società fondato sulla dignità dell’essere umano come individuo, anche se oggi l’universalismo si scolora nel relativismo dominante, ma deve fare i conti con un mondo plurale». Soprattutto deve imparare a mantenere le sue posizioni in un mondo che non si omologa, non si lascia assorbire dalla sua visione del mondo, e anzi ne contrappone altre alternative altrettanto forti.

Tra polarizzazione e fine del liberalismo

«Questo libro spiega benissimo come, rispetto alle nostre speranze di una “soluzione” per il mondo che fosse conforme ai princìpi e ai canoni da noi desiderabili, la storia si è ripresentata, e con essa le nazioni, gli imperi, le incertezze economiche e geopolitiche», ha detto Daniele Capezzone intervenendo alla presentazione a Confedilizia. Da «vecchio atlantista» repubblicano non trumpiano, l’editorialista della Verità si è detto preoccupato da un’America a guida democratica che deve gestire «un conflitto aperto come quello in Ucraina, ha perso l’Arabia Saudita, ha scommesso sull’Iran che invece oggi dialoga con l’Arabia, litiga con Israele, ha perso l’India, vede la Cina crescere, ha perso l’Africa, e il Sudamerica».

Stati Uniti che adesso rischiano seriamente che nel 2024 la corsa per la Casa Bianca porti a «una situazione che, guardata da qualunque lato, è certezza di una guerra civile». Ormai parlare di polarizzazione non basta più, ironizza amaro Capezzone, «va trovata una parola oltre la polarizzazione, forse deflagrazione». Siamo nell’èra dell’oscuro e dell’imperscrutabile, in un periodo di incertezza radicale per cui l’unico atteggiamento ragionevole è quello realista.

Nel saggio di Capozzi Capezzone vede il «trionfo della politica non come episteme ma come ars». Di fronte al mondo non globalizzato la politica deve sapere «aggiustare il tiro con pragmatismo, prendendo atto della realtà delle cose, del loro mutare incessante e del loro incerto procedere». Realismo, dunque. Lo sottolinea anche Castellani, elogiando l’impostazione non partigiana del volume – «normalmente siamo soffocati da letture di storia politicizzate, scritte quasi tutte dal lato marxista e progressista», dice –  che racconta in modo efficace «l’apogeo e la crisi del liberalismo globale».

Il primo dovere dell’Occidente

Nel lavoro di Capozzi c’è «l’amore per l’umanesimo ebraico-cristiano», dice l’autore, «e l’angoscia perché tutto questo è gravemente in pericolo». L’occidente, in un mondo multipolare, ha come primo dovere quello di distinguere tra l’impulso all’occidentalizzazione e la riflessione sulla propria identità e sulle proprie radici. «Quel ricongiungimento con l’identità che vediamo in altre civiltà, piaccia o meno, riflette una tendenza», dice Capozzi. «Se l’Occidente ha un futuro, io penso che dovrebbe passare da una tematizzazione consapevole della propria identità rimessa in discussione dalla secolarizzazione. Siamo in un’epoca in cui serve l’ars e non l’episteme, è vero, chi governa deve guidare la nave in mezzo alle onde della storia, anche se ha tutti gli strumenti. L’occidente deve cercare alleati e chiedersi in cosa credere».

Wokismo vs populismo

La distruzione dell’identità tradizionale porta inevitabilmente a una guerra civile tra wokismo – che incasella e tutela le persone che si offendono in quanto parte di un gruppo ristretto – e l’esoterismo del populismo estremo che vede complotti ovunque, spiega lo storico. Sono «forme di una nuova religiosità che sostituisce la religiosità tradizionale intesa non solo come fede, ma come approccio alla politica e alla società fondato sul valore universale dell’essere umano, non di una categoria».

È Il tema dell’età dell’incertezza di cui parlava Christopher Lasch quando teorizzava, trent’anni fa, la ribellione delle élite e la conseguente disgregazione delle società occidentali, per cui da una parte abbiamo una élite autoreferenziale e dall’altra un popolo senza orientamento politico e culturale. «È naturale che in un clima del genere, con un Occidente disgregato e senza cultura e religiosità comune, pressato dalla conflittualità con altri poli emergenti, vengano fuori le degenerazioni che vediamo: l’attacco alle libertà personali, il passaggio dal capitalismo della sorveglianza ai regimi di sorveglianza, la tecnocrazia come alternativa pedagogica alla politica». Come siamo arrivati fin qui? Leggere il saggio di Capozzi può aiutare a rispondere a questa domanda.

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