Anche con la crisi economica in Italia si continua a sprecare cibo. L’opera del Banco alimentare
Giussani, le risulta che, persino in un anno di crisi economica, 8 miliardi di euro di alimenti siano finiti nella spazzatura?
Due anni fa la nostra fondazione, con il Politecnico di Milano, ha eseguito una ricerca su questo tema. Sono state stabilite precise metodologie di indagine, definendo il concetto di eccedenza alimentare e eccedenza “fungibile”, riutilizzabile. Attraverso misure e interviste a campione, il Politecnico ha analizzato il ciclo produttivo e distributivo e, infine, i consumi delle famiglie e ha analizzato quanti alimenti fossero recuperabili, con stime sulla qualità di questi beni. È emerso che, complessivamente, ammontano a 6 milioni di tonnellate gli alimenti che non sono recuperabili, pari a 12,3 miliardi di euro all’anno. A questa categoria sono stati ricondotti, per esempio, la frutta e la verdura che cadono dagli alberi e non vengono raccolte, o quelle che “marciscono” in frigorifero, o gli alimenti scaduti. Di queste, per l’esattezza, il 40 è quello sprecato in famiglia, e coincide con il 16 per cento della produzione complessiva di alimenti. Il restante 60 per cento degli sprechi è, invece, dovuto all’agricoltura stessa. Secondo questo studio, però, di questi alimenti sono circa 1 milione di tonnellate quelli che possono essere ancora recuperati, e che altrimenti andrebbero sprecati.
Non è possibile recuperare parte di quegli alimenti freschi, ad esempio la frutta e la verdura invendute nei mercati rionali ogni giorno, che sono di qualità, e che altrimenti finiscono nella spazzatura?
La seconda osservazione che evidenzia lo studio è che, anche volendo, il recupero e la distribuzione di tutti gli alimenti richiede un costo eccessivo. Noi perciò ci occupiamo di quei beni che possono essere recuperati con costi sostenibili. Per esempio non possiamo recuperare la merce invenduta nei singoli mercati rionali, perché richiederebbe costi eccessivi di logistica e conservazione. Però, da qualche tempo, recuperiamo negli ortomercati, dove terminata la vendita all’ingrosso, gli ortaggi invenduti ma di buona qualità. Questa è solo una parte dell’attività quotidiana di recupero fatta dal Banco alimentare in tutte le sue sedi: il filone di raccolta del “fresco” viene effettuato all’ortomercato così come nei supermercati, dove oltre all’ortofrutta, raccogliamo anche il pane. Complessivamente, lo scorso anno, abbiamo raccolto così 3.221 tonnellate di cibo fresco. C’è anche Siticibo, con la raccolta quotidiana degli alimenti che sono surplus della produzione della ristorazione o delle grandi mense (di ospedali, aziendali, scolastiche etc). Si tratta di alimenti che non sono mai stati serviti, e che quotidianamente verrebbero gettati: dalla teglia di lasagne, all’insalata, al pane. Questi alimenti non passano nemmeno dai nostri magazzini e vengono distribuiti subito nelle mense per i poveri. L’anno scorso abbiamo raccolto così poco più di 790 mila pasti pronti. I grandi volumi arrivano del filone di raccolta “del secco”.
Cioè?
Tutti quei prodotti in scatola (legumi, pasta, etc), che sono di ottima qualità ma non sono vendibili, ad esempio per difetti di packaging. Prendiamo questi prodotti direttamente dalle aziende o dalla grande distribuzione. Nel 2013 abbiamo raccolto così 17 mila tonnellate di alimenti.
Quest’anno, però, avete dovuto organizzare una giornata “straordinaria” della colletta alimentare, la raccolta di alimenti con donazioni dirette dai privati: perché?
Ogni anno abbiamo distribuito complessivamente 72 mila tonnellate di cibo. Di queste, circa 40 mila arrivavano grazie al Programma di aiuto alimentare ai bisognosi dell’Unione Europea, che però si è concluso a fine 2013. Si stima che riprenderà dal prossimo novembre, ma le ultime scorte di questi alimenti le abbiamo esaurite a febbraio. Noi distribuiamo cibo a 9 mila associazioni che hanno stimato, per i mesi da aprile a novembre senza l’aiuto dell’Ue, una carenza di 22 mila tonnellate. Non possiamo colmare un buco del genere, ma abbiamo provato a fare una seconda colletta alimentare per questo motivo. Abbiamo raccolto 4.770 tonnellate di alimenti: anche se non sono sufficienti, sono stati una boccata di ossigeno. La colletta ha mobilitato generosità che speriamo di coinvolgere sempre nelle nostre attività.
In Portogallo si è avviata l’esperienza di Fruta fea, una sorta di outlet dell’ortofrutta “brutta”, che viene venduta a prezzi bassissimi. In Italia esistono esperienze del genere? Voi avete anche questo tipo di attività?
Ci sono due elementi da considerare per quanto riguarda Banco Alimentare. Uno dei paletti che mettiamo al nostro lavoro è una forma di totale rispetto per la persona. Secondo noi la qualità del cibo che un assistito riceve dev’essere uguale a quella che mangiamo tutti. Il secondo punto è il rispetto delle normative vigenti. Ad esempio, spesso un prodotto è ottimo anche se consumato anche il giorno dopo la data di scadenza: ma noi dobbiamo rispettare la legge esistente, per cui non distribuiamo alimenti scaduti, e non possono farlo nemmeno le strutture caritative a valle. Noi non ci occupiamo della vendita diretta, infine, ma solo della distribuzione gratuita. In Italia però ci sono delle esperienze come quella degli Empori della Caritas che danno delle tessere a persone in condizioni economiche particolari, che possono effettuare acquisti a prezzi stracciati.
Expo 2015 ha al centro il tema del cibo e della sostenibilità. Parteciperete all’esposizione universale, e in che modo?
Saremo presenti stabilmente alla Cascina Trivulzia, all’interno dell’Area expo e dedicata alle attività No profit. Inoltre anticipo che stiamo lavorando per una presenza “operativa”, per recuperare tutte le eccedenze dai catering e dai ristoranti Expo. Ci riusciremo.
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