Così la Germania guadagna competitività con gli spread degli altri. Il caso Cipro

Di Rodolfo Casadei
21 Gennaio 2013
Altro che Grecia. Il primo fallimento della zona euro potrebbe essere quello di Cipro. L'isola chiede aiuto ma a deciderne le sorti sarà Berlino.

Il primo default della storia dell’Unione monetaria europea potrebbe sì, come molti pronosticano, parlare greco. Ma non – questa è la sorpresa – il greco che si parla ad Atene, bensì quello parlato a Cipro, l’isola di Afrodite a poche decine di chilometri dalle coste turche e siriane, che ha per sua moneta l’euro dal 2008. La possibilità è teorica, ma non astratta, e il suo eventuale divenire realtà dipende, come tante altre cose europee, dalle risoluzioni che prenderanno menti tedesche. E come per molte decisioni prese a Berlino in riferimento all’Europa, una pesante coltre di ipocrisia sembra avvolgere le motivazioni reali, improntate al più smaccato nazionalismo economico tedesco.
La bomba è scoppiata a novembre. Cipro stava negoziando un pacchetto di aiuti Ue per salvare le sue banche e la solvibilità finanziaria del paese, messe a repentaglio dalla crisi greca: le banche cipriote hanno perso 3 miliardi di euro a causa della ristrutturazione del debito pubblico greco e hanno esposizioni per 22 miliardi di euro verso privati greci. Una situazione pesante, per un paese con un Pil annuale pari ad appena 18 miliardi di dollari (anche se il suo sistema finanziario gestisce asset per più di 150 miliardi di euro, cioè più di otto volte il Pil). Si parlava di un’iniezione di 17 miliardi di euro, 10 dei quali sarebbero andati alle banche. Quand’ecco che nelle redazioni dei giornali e sulle scrivanie delle cancellerie arriva un rapporto del Bundesnachrichtendienst, il servizio segreto tedesco: Cipro è un paradiso fiscale per oligarchi russi, dice in sostanza il rapporto, salvare il sistema bancario cipriota equivale a salvare i fondi di dubbia origine dei depositanti russi. Che ammontavano a ben 26 miliardi di euro alla fine del 2011. L’opposizione socialdemocratica e verde a Berlino ha colto la palla al balzo e ha fatto sapere, attraverso i suoi portavoce, che non avrebbe votato un pacchetto che trasferisse il denaro dei contribuenti tedeschi nelle tasche di evasori fiscali russi, ma anche deputati Cdu del parlamento nazionale e di quello europeo hanno fatto conoscere la loro contrarietà all’operazione. La Merkel ha presto compreso che il salvataggio di Cipro, che ai contribuenti tedeschi non costerebbe più di 2 miliardi di euro (molto meno di quanto i tedeschi dovranno prestare a Rajoy quando, fra pochi mesi, la Spagna dovrà chiedere aiuto al Meccanismo di stabilità europeo), potrebbe non ottenere la maggioranza al Bundestag. Ma non si può dire che se ne sia fatta, fino a oggi, un cruccio. Si è limitata a dire che per Cipro non saranno permesse «condizioni speciali». Locuzione oscura.

Crollo di credibilità
A voler stabilire “condizioni speciali” per il salvataggio di Cipro, infatti, non sono i ciprioti, ma piuttosto il Fondo monetario internazionale (Fmi). Il quale vorrebbe non solo che i detentori di titoli di Stato ciprioti accettassero una decurtazione del loro valore nominale, ma che addirittura i correntisti delle banche dell’isola rinunciassero a parte dei loro depositi. Molti tedeschi applaudono questa proposta perché, dicono, imporrebbe i sacrifici agli oligarchi russi anziché ai contribuenti tedeschi. Ma quasi certamente un gioco del genere non varrebbe la candela: il taglio del valore nominale dei titoli di Stato è stato applicato nel caso del salvataggio della Grecia dichiarando ai quattro venti che si trattava di un’eccezione che non si sarebbe mai più ripetuta, perché da quel momento in avanti l’Eurozona avrebbe sempre affrontato le tensioni sul debito sovrano o sulle banche con la prevenzione (leggi: draconiana austerità di bilancio e meccanismi di sorveglianza dell’unione bancaria) e le crisi vere e proprie col ricorso ai fondi del Meccanismo di stabilità europeo. Adesso invece, di fronte a una crisi quantitativamente molto inferiore, si prospetta non solo l’“haircut” dei titoli di Stato, ma addirittura un prelievo forzoso sui depositi bancari sopra a un certo valore: una roba da paese sudamericano in bancarotta. Le conseguenze per la credibilità non solo di Cipro e delle sue banche, ma dell’intera Eurozona, sarebbero disastrose: chi depositerebbe più in una banca dell’Eurozona o acquisterebbe più titoli di Stato dei paesi della stessa, sapendo che per due volte il valore nominale dei titoli è stato poi decurtato e che in un caso è addirittura bastato depositare sul conto corrente di una grossa banca per rimanere fregati?
Cipro, per parte sua, si difende spiegando che in questi anni ha fatto tutto quello che gli è stato chiesto per combattere il riciclaggio e realizzare la trasparenza bancaria più assoluta: l’apparato legale cipriota per la lotta contro i suddetti fenomeni ha ricevuto la piena approvazione di MoneyVal, l’organismo competente del Consiglio d’Europa, della Financial Action Task Force, agenzia intergovernativa che opera sotto gli auspici del G8 e del G20, e del Fmi.

Il veto dei socialdemocratici
Le banche hanno l’obbligo di identificare le persone fisiche che controllano più del 10 per cento di un’entità legale con interessi finanziari (più severo di quello previsto dalla direttiva Ue, che prevede un tetto del 25 per cento); la task force antiriciclaggio dell’isola può bloccare una transazione finanziaria anche senza l’ordine di un magistrato e su semplice richiesta delle autorità di un altro Stato, mentre con un mandato giudiziario può ottenere accesso a qualsiasi dato in deroga al segreto bancario; inoltre a Cipro i movimenti di contante sono relativamente limitati per l’assenza di uffici di cambio privati e di case da gioco. Certo, Cipro non può negare la vistosa presenza di capitali russi nell’isola, così come il fatto che negli ultimi 4 anni 85 dei 127 stranieri che hanno ottenuto la naturalizzazione cipriota (e quindi un passaporto Ue) sono ricchi russi. Ma fa un certo effetto che a criticare Nicosia per rapporti opachi con grandi interessi finanziari russi siano i politici di un paese il cui ex primo ministro è diventato presidente del consorzio degli azionisti di un gasdotto russo-tedesco, pochi giorni dopo aver fatto approvare una copertura da 1 miliardo di euro da parte dello Stato tedesco sul rischio incorso dalla compagnia russa consociata. Parliamo di Gerhard Schröder, di Nord Stream Ag e di Gazprom.
Per sapere che a Cipro è forte la presenza dei russi e dei loro soldi non c’era bisogno di scomodare i servizi segreti: una semplice passeggiata per le vie di Limassol (la nota località balneare) sarebbe bastata. D’altra parte capitali russi di origine sospetta notoriamente sono depositati o investiti in paesi dell’Eurozona come Austria e Lussemburgo, e in paesi dell’Unione Europea come il Regno Unito (per la precisione nei paradisi fiscali rappresentati dalle Channel Islands).
Allora la domanda da farsi è piuttosto la seguente: perché tirare fuori lo “scandalo russo” proprio adesso? Perché agitare la questione nel bel mezzo di una crisi che potrebbe infliggere una pesante mazzata all’euro? Le dichiarazioni del responsabile dell’Spd (socialdemocratici tedeschi) per le politiche di bilancio aiutano a farsi un’idea. Ha detto Carsten Schneider: «Prima che il nostro partito dia la sua approvazione per un prestito a Cipro, è necessario rimettere in discussione il modello finanziario di quel paese. Il tasso troppo basso dell’imposta sul reddito delle società e le omissioni in materia di riciclaggio per noi socialdemocratici sono inaccettabili». A Cipro l’imposta sul reddito delle società, quella che in inglese si chiama corporate tax, è fissata al 10 per cento sia per le società cipriote sia per quelle straniere: è il valore più basso all’interno dell’Eurozona e il più basso della Ue a 27 a pari merito con la Bulgaria. In Germania la corporate tax è del 33,3 per cento, in Italia del 31,4. Il paese dell’Eurozona con la seconda più bassa imposta sul reddito delle società è l’Irlanda: 12,5 per cento. Guarda caso, anche Dublino è sottoposta a pressioni per una modifica al rialzo della sua corporate tax. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble e la sua controparte britannica George Osborne (nel Regno Unito la corporate tax è al 28 per cento) hanno recentemente auspicato una “cooperazione internazionale concertata” sull’argomento. A Dublino sono angosciati, perché vorrebbero un riscadenziamento della restituzione del prestito di 85 miliardi di euro che è stato fatto al paese nel 2010 per affrontare il tracollo delle sue banche, ma se la contropartita per un po’ di clemenza deve essere un incremento della corporate tax, in passato strumento essenziale della competitività irlandese, il gioco non vale più la candela.

La doppia morale
Dunque tutta la faccenda del rapporto dei servizi segreti tedeschi sulla presenza di capitali illeciti russi a Cipro si rivela per quello che è: un’astuzia per fare pressione sui ciprioti, nel momento in cui sono più deboli, affinché modifichino la loro troppo invitante corporate tax. È la solita doppia morale tedesca quando si tratta di affari europei: i tassi di interesse sul debito sovrano debbono continuare a dipendere dalle decisioni dei singoli Stati europei, a essere oggetto di competizione e a riflettere il differente grado di virtù fiscale dei diversi paesi; invece le imposte sul reddito delle società debbono tendere all’uniformità all’interno dell’Eurozona, non ci deve essere competizione. Perché, nel primo caso l’interesse nazionale tedesco è che ci sia uno spread, mentre nel secondo caso l’interesse economico tedesco è che non ci sia uno spread. Alla faccia di Mario Monti e di tutti quelli che dicono che per fare l’Europa non bisogna criticare troppo l’ortodossia germanica.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.