Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – A noi militanti ce l’avevano spiegato in maniera semplice. Poi che si virasse verso il socialismo utopico o l’anarchismo rivoluzionario, la sintesi era la medesima: ove vi è lo sfruttamento di un uomo su un altro bisogna mettere in campo la lotta. Alla fine, se non era il Sol dell’Avvenire, ciò su cui bisognava tendere era almeno una società di liberi e uguali.
Ora, sappiamo tutti come è andata a finire, gli errori e gli orrori e la rovinosa caduta. Va detto però che talvolta anche gli sconfitti possono diventare il sale della storia. Accanto ai vincitori ci sono i “vinti giusti”, quelli per cui quel generoso tentativo di emancipazione umana ha rappresentato un ancoraggio ideale contro la mercificazione dell’uomo su un suo simile. È crollato tutto, ma viene da chiedersi se un poco di quella cultura non poteva salvarsi.
A dirla tutta, a leggere le parole di Vendola che rivendica la scienza come progresso e il desiderio come diritto, viene voglia di tornare un po’ comunisti, almeno per riaffermare che l’utero in affitto è solo l’ultimo stadio del capitalismo. Sino ad una decina d’anni fa, contro il lavoro in affitto si organizzavano scioperi e manifestazioni! Siamo traslati dallo sfruttamento della manodopera alla messa al lavoro del corpo umano, alla mercificazione della carne viva.
Sia chiaro, qui l’orientamento sessuale non centra nulla. Gay, etero, trans, un comunista senza tanti giri di parole, ripeterebbe ancora: ovunque ci sia un uomo o una donna sfruttati, ovunque l’uomo venga ridotto a merce è necessario mettere in campo la lotta.
E se non fosse una cosa tremendamente seria verrebbe da dire che una volta i comunisti mangiavano i bambini, mentre ora se li fanno fabbricare e poi li comprano.
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