
Così si misura la libertà
Cos’è la libertà? Ma soprattutto, di quale libertà parliamo quando ogni giorno ci riferiamo a questo concetto nelle accezioni e nella implicazioni più disparate? Forse la libertà negativa (o “libertà da”) propria del mercato? O la libertà positiva (o “libertà di”), che riguarda invece la questione di chi determina? Domande classiche alle quali, negli ultimi anni, se ne è aggiunta un’altra: e cioè, la libertà è misurabile? Il Nobel per l’economia, Amartya K. Sen, ha sostenuto la necessità di valutare le opportunità e le scelte non solo nei termini delle loro utilità ma anche nei termini della quantità di libertà che esse producono: è grazie a Sen che anche tra gli economisti si è cominciato a pensare alla libertà come a un valore intrinseco, da misurare indipendentemente dall’utilità. Nel 1990 gli economisti Pattanaik e Xu pubblicarono poi un saggio in cui proponevano un’assiomatizzazione della metrica delle libertà. Dato il carattere puramente formale del loro modello, la conclusione che ne derivava era che, in determinate situazioni, più sono le opzioni a disposizione dei soggetti più questi sono liberi. Il problema è che spesso, di fronte a una scelta, troviamo due opzioni “non controfattuali”, ovvero che non hanno la medesima rilevanza, che non rappresentano l’una nei confronti dell’altra un’alternativa comparabile. Immaginiamo due situazioni diverse. Nella prima posso scegliere tra viaggiare in aereo o in automobile. Nella seconda tra viaggiare su un’auto rossa o su un’auto grigia. Le opzioni sono sempre due, ma è evidente – dal punto di vista intuitivo – che nella prima situazione sono più libero. Dunque, nel modello teorico, c’è qualcosa che non va.
La metrica è puramente neutra e non riesce quindi a catturare la differenza tra opzioni banali e opzioni significative. Rieccoci allora al punto di partenza: come si definisce la libertà? Possiamo misurarla? Ove ciò fosse possibile, potremmo valutarne l’impatto sullo sviluppo economico e sul funzionamento delle istituzioni? Questo nuovo filone di ricerca si è sviluppato lungo due direttrici. La prima è essenzialmente di carattere teorico e si occupa di stabilire le condizioni (assiomi) per affermare se una determinata situazione è migliore di altre dal punto di vista della libertà che garantisce. La seconda, invece, è essenzialmente empirica ed ha come scopo quello di costruire una serie di indici che misurano la libertà dal punto di vista economico, politico e civile e di vagliarne l’impatto sia sulla crescita economica che sul disegno delle istituzioni. Malgrado la differenza metodologica tra questi due approcci per la misurazione della libertà sia considerevole, entrambi condividono il fatto che alla base della costruzione di una metrica della libertà ci sia il concetto di scelta: le misure assiomatiche della libertà, infatti, sottolineano come la libertà dipenda dalla gamma di opportunità di scelta con le quali un individuo si confronta, mentre quelle empiriche si soffermano sul grado di restrizione alle scelte individuali imposto dallo Stato attraverso leggi e regolamentazioni. Quindi mentre il primo approccio si concentra sulla possibilità di effettuare delle scelte, il secondo si sofferma sulle limitazioni imposte a queste possibilità. Questi due concetti di scelta tuttavia non esauriscono la gamma di possibili interpretazioni utili del legame che esiste tra scelta individuale e libertà: rifacendosi alle teorie originarie di John Stuart Mill si può infatti suggerire come la scelta dei singoli sia collegata strettamente alla capacità che ciascuno di essi ha di affermare la propria individualità e che quindi si fonda sul concetto di centralità della persona umana. Questa nozione di libertà ci permette di sviluppare una teoria della misurazione della libertà intesa come autonomia e da qui una misura empirica della libertà soggettiva di cui è possibile valutare l’impatto sullo sviluppo economico e sul funzionamento dei sistemi democratici. A questa affascinante terza ipotesi di studio stanno lavorando due giovani e brillanti ricercatori italiani della London School of Economics, Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra, che nel corso di un breve soggiorno a Milano hanno incontrato Giorgio Vittadini e i ricercatori della Fondazione per la Sussidiarietà e della Cdo per gettare le basi di un progetto di studio comune sul tema, appunto, della valutazione internazionale della libertà di scelta e libertà percepita. Abbiamo incontrato i professori Navarra e Bavetta e con loro abbiamo cercato di fissare i punti principali di quello che appare un progetto, oltre che interessante, addirittura fondamentale per riportare al centro della discussione – sia essa politica, economica o filosofica – la persona e non l’individuo. «Per quanto riguarda l’approccio da seguire nello studio del concetto di libertà e della sua misura – ci dicono – ci troviamo di fronte a due possibilità alternative: da una parte concentrarsi sui vincoli che lo Stato impone alle scelte delle persone; dall’altra mettere a fuoco la percezione che le stesse hanno della propria libertà di scelta. Il primo approccio è stato oggetto di numerosi tentativi di misurazione empirica quali quelli, ormai largamente affermatisi, della Heritage Foundation. Il secondo, al contrario, non è mai stato oggetto di alcun tentativo di misurazione empirica. Colmare questo spazio è proprio l’obiettivo che vogliamo perseguire: contribuire ad una teoria della libertà soggettiva ed alla sua misurazione empirica». Qual è la definizione che voi, partendo dal vostro studio, date di libertà?
«La prospettiva sulla libertà fatta propria dal secondo approccio pone al centro del discorso l’esercizio della propria individualità – come dice il filosofo inglese John Stuart Mill – ovvero della propria autonomia, come si direbbe oggi. La concezione di autonomia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di grandi pensatori, da Aristotele sino ai giorni nostri. L’idea di autonomia che noi portiamo avanti e che vorremmo misurare coincide con l’analisi delle condizioni che rendono l’agire individuale il prodotto di decisioni personali che ciascun attore effettua (per quanto possibile) indipendentemente da circostanze e vincoli ambientali e culturali ma solo sulla base della propria consapevolezza sui termini della scelta. Di conseguenza, le condizioni per l’esercizio autonomo delle proprie decisioni sono soddisfatte quando, non solo l’individuo ha di fronte più possibilità di scelta, ma anche quando queste possibilità richiedono l’esercizio delle proprie qualità individuali e morali. Per esempio, determinazione, capacità di discriminare tra alternative, fermezza nel portare a compimento le conseguenze delle proprie decisioni, e così via. Soltanto quando queste qualità sono esercitate si può dire che l’autonomia individuale è soddisfatta. Tutte le volte che l’autonomia individuale è affermata la società non può che essere migliore perché persone autonome arricchiscono il tessuto sociale in una maniera che persone le cui scelte sono determinate da comportamenti esclusivamente di imitazione non potrebbero. Inoltre, una società fatta da persone autonome è, a parità di condizioni, una società più dinamica e più fiduciosa; una società capace di guardare con ottimismo al proprio futuro. Si tratta, se si vuole, di una visione romantica dell’individuo, che ha le sue radici in Schiller, von Humboldt e Mill, ma non per questo non appropriata allo spirito del nostro tempo».
Qual è la valenza empirica di misurare la libertà soggettiva? «Una misura di libertà soggettiva così come la intendiamo noi fornisce per esempio informazioni importanti al fine di studiare gli effetti che la libertà individuale può produrre sulla crescita economica e sul funzionamento delle istituzioni democratiche. Una vasta letteratura sottolinea l’importanza del capitale umano ai fini dello sviluppo economico come fonte di vantaggi comparato per gli individui e le organizzazioni e le società nel loro complesso. La libertà individuale interpretata attraverso il concetto di autonomia diventa una risorsa determinate per la produzione di capitale umano e quindi motore per l’innovazione e la crescita economica. Questo nostro punto di vista ci induce a formulare interrogativi molto interessanti: può il livello di libertà soggettiva influenzare i processi innovativi e di cambiamento tecnologico? Può influenzare lo sviluppo dello spirito imprenditoriale negli individui e la mobilità sociale? Quali possono essere le implicazioni che la risposta a questi interrogativi comporta in termini di crescita economica, di distribuzione del reddito e di benessere collettivo? Un’indagine con questi obiettivi sicuramente ci aiuterà a capire meglio qual è il ruolo che gli individui giocano nel mercato e gli effetti di questo ruolo sulla dinamica del sistema economico. La libertà soggettiva nel senso di scelta autonoma può anche essere collegata al funzionamento dei sistemi democratici. è possibile ipotizzare infatti importanti legami tra la percezione degli individui della possibilità di effettuare scelte autonome ed il processo decisionale collettivo in un sistema democratico. Variazioni nel livello di libertà soggettiva, possono per esempio comportare conseguenze in termini di rappresentatività del processo di scelta democratico? Un cambiamento nella percezione della libertà soggettiva può influenzare le decisioni politiche a diversi livelli di governo? Qual è l’effetto di una maggiore autonomia di scelta degli individui sulle decisioni elettorali dei partiti e/o dei candidati durante le elezioni? Possiamo ipotizzare che diversi livelli di libertà soggettiva producano effetti sul grado di responsabilità di governo dei rappresentanti eletti? Ancora una volta, è evidente come rispondere sia importante per meglio capire il funzionamento dei sistemi democratici in un periodo di forte cambiamento politico ed istituzionale come quello attuale». Lo Stato può contribuire a favorire l’emersione dell’identità dei singoli individui e quindi ad alimentare il livello della loro libertà soggettiva? «Se bisogna assegnare un ruolo allo Stato ai fini dello sviluppo della libertà soggettiva, così come da noi intesa, questo non può che essere quello di assecondare gli aspetti connessi più alla produzione del reddito che alla sua distribuzione. In questo senso, ci riferiamo a quegli interventi che puntano sull’affermazione della centralità della persona per il contributo determinante che essa può garantire alla crescita economica e sociale di una comunità».
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