
CONTRO LO SCIENTISMO
Come è noto, la medicina occidentale nasce con l’approccio “razionale” di Ippocrate. Si deve notare che l’approccio razionale coincide con l’assunzione di una posizione religiosa, che rompe con quella magica precedente. Il medico riconosce il proprio limite di fronte al Mistero, lo rispetta e chiede a Lui di giudicare della propria responsabilità. Da qui anche il rispetto assoluto della vita, che fece la fortuna del giuramento di Ippocrate per venti secoli.
Il cristianesimo fece la fortuna del giuramento di Ippocrate e affermò in termini definitivi il senso positivo della vita, più forte della morte a causa della resurrezione di Cristo. Gli ammalati, nonostante la loro pericolosità, non vennero più sfuggiti, ma accolti, assistiti, ospitati e ospedalizzati. Il limite, come disse don Giussani, divenne il gradino per salire all’infinito. Senza Camillo De Lellis, Giovanni di Dio, Cottolengo, Madre Teresa, non vi sarebbero oggi dedizione nelle cure, medicina e sanità. In ambiente cristiano nacquero le università, dove la conoscenza cominciò ad avventurarsi senza timori nell’esplorazione della totalità. In ambiente cristiano nacque, a causa di questa apertura, la scienza.
La rivoluzione scientifica, come sappiamo o dovremmo sapere tutti, si fonda sul metodo sperimentale, come misura e non interpretazione della realtà. Come dice Karl Popper, l’esperienza non può verificare una proposizione universale per quanti esempi adduca a suo sostegno, perché basta un solo esempio contrario per falsificarla. La falsificabilità rappresenta il criterio di demarcazione fra le teorie scientifiche e le teorie non scientifiche (“le razionalità altre”). Ma nonostante tale affermazione la pretesa scientista è montata, proprio a cominciare dal caso Galileo e dalla sua condanna ecclesiastica, giudicata sbagliata da Giovanni Paolo II. L’affermazione che era la Terra a girare intorno al sole e non viceversa venne avvertita dalla Chiesa non come semplice messa in discussione di un particolare della conoscenza tradizionale e biblica, ma di tutto il modo e il valore di quella conoscenza. In effetti si deve riconoscere che da Galileo in poi, anche a motivo della grossolanità della condanna ecclesiastica, è montata la pretesa dell’indipendenza, dell’unicità e della superiorità della conoscenza scientifica rispetto a qualsiasi altra conoscenza, in particolare di natura religiosa. Non che a quest’ultima sia stata completamente negata dignità, ma è stata relegata in un angolo personale, intimistico; e giudicata pericolosa se pretende di incidere sulla storia.
Ma se l’uomo può veramente conoscere solo ciò che misura, è profondamente diviso in se stesso, perché amore, dolore, ricerca della felicità e del destino, che sono i suoi moventi più profondi ma non sono misurabili, non avrebbero alcuna dignità nella formazione della consapevolezza dell’io e delle cose. Invece l’esperienza – l’esperienza invocata da Galileo – dimostra che non è così. Esempio chiarissimo è proprio la malattia, in cui l’uomo con la sua coscienza non “sente” solo il malfunzionamento di uno o più organi, ma più acutamente l’interrogativo a riguardo di ciò che sarà di sé. Per tale ragione pretende di essere trattato non come un cuore, un fegato o un arto, ma appunto come un uomo. Così è bene che la questione galileiana sia sempre viva e sanguinante: ciò aiuta a non dimenticare.
Estratto dall’intervento di Giancarlo Cesana “Quale domani per le professioni in sanità?” al Convegno di Medicina e Persona “Quale domani per le professioni? Soggetti, sistema e tecnologie in sanità”, 26 maggio 2005
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