Come va il business delle sigarette elettroniche?
Nelle grandi città quasi la metà dei punti vendita sono stati chiusi. Perché?
Nel 2012, quando in Italia cominciavano ad aprire i primi negozi, il settore era del tutto nuovo. In molte altre parti del mondo già circolavano questi tipi di prodotti, molto amati da chi desiderava smettere di fumare, ma non voleva privarsi del tutto di un certo tipo di piacere. Era un settore nuovo, acerbo, sarebbe servito qualche anno per poter consolidare la sua immagine, per trasmettere sicurezza ai consumatori e far conoscere i propri manufatti. Non ci è stato permesso di fare delle opportune e mirate campagne pubblicitarie. Avremmo voluto trasmettere un messaggio positivo, presentarci da soli prima che la cattiva informazione cominciasse a diffondere notizie false sulla sicurezza dei nostri prodotti.
A cosa si riferisce?
Mi riferisco alle continue ricerche condotte sui liquidi per sigarette elettroniche, ben più insistenti rispetto a qualsiasi altro prodotto nuovo. Non ci siamo mai posti come salvatori della salute delle persone, abbiamo semplicemente proposto la verità. Non esistono al giorno d’oggi degli studi a lungo termine sugli effetti delle sigarette elettroniche, e non esistono non perché abbiamo tentato di oscurarne i risultati, ma perché sono in commercio da troppo poco tempo. Come gli smartphone o tante altre cose attualmente oggetto di studio. Ma i nostri prodotti sono stati demonizzati come non mai, nonostante volessimo solo proporre un’alternativa, meno nociva, rispetto a una comune sigaretta.
Si è anche detto che fossero le associazioni dei tabaccai ad aver ostacolato il vostro arrivo.
Io non penso che sia così, comunque ai tabaccai è sempre stato concesso di poter vendere liquidi per sigarette elettroniche, mentre non è possibile che avvenga il contrario. Dobbiamo sempre pensare che si tratta di due prodotti quasi opposti. Il consumatore di sigarette tradizionali entra in tabaccheria di fretta per comprare il suo pacchetto, e il tabaccaio, con la stessa fretta, si volta sullo scaffale per prenderlo e porgerglielo. Il tutto non dura che un paio di minuti. Con la sigaretta elettronica è tutto un altro discorso. Abbiamo calcolato che in media un nuovo consumatore si ferma nel punto vendita circa mezzora e, se abituale, comunque più di cinque minuti. Il venditore è un consulente, una figura di riferimento che deve saper fornire molte spiegazioni sul corretto utilizzo dell’apparecchio. Un tabaccaio non avrebbe mai il tempo necessario di farlo.
Parliamo delle tasse, le principali responsabili della moria del settore.
All’interno della legge di stabilità, approvata a dicembre 2014, c’è inserita una nuova tassa sul nostro prodotto. Viene stabilito che per ogni ricarica di sigaretta elettronica, da 10 mm, si debbano versare 3,73 euro più iva (circa 4,50 euro), per un importo iniziale di circa un euro. Altrimenti detto, su 5,50 di scontrino, 4,50 se ne vanno in tasse. Come è stato fatto questo calcolo dall’Aams? Si è valutato il tempo di consumo della sigaretta stessa. Per la iQos di Philip Morris, una sigaretta che non brucia il tabacco ma lo riscalda, è stato calcolato 385 secondi. Mentre per la sigaretta elettronica è stato calcolato 38 secondi, escludendo le pause totali che il fruitore fa tra una svapata e l’altra. È stata paragonata ancora una volta alla sigaretta tradizionale, che impiega lo stesso tempo per bruciare. Noi abbiamo fatto per questo ricorso al Tar, che si riunirà in Camera di Consiglio proprio all’inizio di marzo. E speriamo di portare a casa un nuovo punto a nostro favore, così come era stato con il decreto legge 99/2013, che aveva imposto le accise al 58,6 per cento.
Foto sigaretta elettronica da Shutterstock
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