
Come nel Go, la Cina ha circondato il Myanmar

Sulla Lotus walking street dell’isola tailandese di Koh Tao c’è una bottega. Gli eventi seguono naturalmente il loro corso, quel locale serve alcolici, ha birra a buon mercato e tutte le carte in regola per essere ricordato da tutti come un bar. Fino a che un giorno, inaspettatamente, un gesto o un pensiero fuori rotta ha modificato l’armonia del destino di quel luogo che, per chi era presente quella sera, da bar anonimo è diventato una scuola di Birmania e di strategia cinese.
All’interno ci sono poche persone sedute sul pavimento attorno ad una tavola da gioco. Mi avvicino, uno di loro mi invita a sedermi e mi chiede se conosco le regole del Go, un antico gioco di strategia cinese, simile agli scacchi ma in salsa orientale. Quel ragazzo si chiama Noah e gestisce il locale: occhi scuri, lineamenti orientali, classe 2002; è così esile che non sembra poter reggere una vita troppo intensa, non ha la postura di un eroe, ma il savoir-faire del cantante di una boy-band. Mi spiega le regole del gioco osservando le mosse dei giocatori e intanto mi svela un passo alla volta anche la sua storia. Parla un inglese sorprendentemente fluente e la conversazione prosegue con la leggerezza dei gesti involontari, mentre fuma Cheerots, sigari birmani, come lui.
Le mani cinesi sul Myanmar
Noah, mi racconta, è fuggito dal Myanmar – o Birmania – in seguito al colpo di stato del primo febbraio 2021. L’esercito ha preso il potere e ha soffocato le istituzioni democratiche, ma i birmani non sono disposti a cedere e, da quel giorno, il paese è sprofondato in una delle più violenti guerre civili contemporanee. Ha imparato l’inglese grazie ad un gruppo di volontari londinesi durante gli anni trascorsi in monastero per diventare monaco. Dopo sei anni ha lasciato il monastero e cercato lavoro con l’obbiettivo di fuggire dal paese. Per arrivare in Thailandia si è affidato ad un’organizzazione criminale che gestisce il redditizio business dell’emigrazione illegale; il costo era elevato ed il successo non garantito. Il denaro necessario gli fu stato in larga parte prestato, il resto lo guadagnò lavorando come muratore nei cantieri edili frutto degli investimenti cinesi.
La Cina, infatti, si pone in controtendenza rispetto all’impossibilità diffusa di immaginarsi un futuro: vuole intensificare i suoi legami con il paese, certa dei grandi vantaggi che ne derivano. Mentre in Myanmar si lotta per la democrazia, il Dragone consolida silenziosamente la sua presenza all’interno del paese.

Una strategia in quattro lettere: Cmec
Se in Occidente lo scacchiere geopolitico segue le regole degli scacchi, per Pechino segue quelle del Go, in cinese weiqi (“gioco del circondare i pezzi”). La tavola all’inizio della partita è ancora vuota e i giocatori devono capire come riempire questo spazio secondo la loro strategia. A turno, ogni giocatore pone un nuovo pezzo, una pedina, scegliendo dove posizionarsi, dove imporre la sua influenza, neutralizzando gradualmente il potenziale strategico dei pezzi dell’avversario. Il gioco non consiste nell’annientare il nemico – non esiste lo scacco matto -, ma nell’accerchiarlo cercando di ottenere un vantaggio relativo affinché l’avversario si arrenda.
Allo stesso modo, la Cina non cerca lo scontro diretto, la sua strategia è quella di riempire gli spazi vuoti circondando, una mossa alla volta, l’avversario, ponendosi in vantaggio. Lo spazio vuoto, in questo caso, è quello provocato dalla crisi politica in Myanmar e la prima vittima di questo gioco è la stessa Birmania.
La pianificazione strategica cinese in Myanmar può riassumersi in quattro lettere: Cmec, China-Myanmar economic corridor, un progetto che rientra in quello più ampio della Belt and Road initiative (Bri). Questo corridoio di 1700 chilometri collegherà la provincia cinese dello Yunnan con il porto birmano di Kyaukpyu. Il corridoio consiste nella costruzione di strade, ferrovie ad alta velocità, oleodotti e gasdotti che le permetteranno di trasportare merci e risorse naturali direttamente dall’Oceano Indiano alla Cina e viceversa, acquisendo un doppio vantaggio commerciale: maggiore rapidità nel trasporto delle risorse, ma soprattutto la possibilità di uno sbocco diretto sull’Oceano Indiano bypassando lo Stretto di Malacca. Questo collo di bottiglia non solo è largo 2,5 chilometri nel punto più stretto, ma è anche una delle rotte di navigazione più trafficate al mondo. Ha problemi di pirateria, secche, un elevatissimo indice di incidenti e, soprattutto, è sotto il controllo della Settima flotta statunitense.

Basi militari
La strategia cinese non si limita al Cmec, ma si arricchisce attraverso lo sfruttamento delle terre rare birmane. Le terre rare, da non confondere con metalli alcalini come il litio, consistono in un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica fondamentali per la transizione ecologica perché alla base della mobilità sostenibile e dell’energia rinnovabile. Questi consentirebbero alla Cina di incrementare ulteriormente il suo potere commerciale in un settore di importanza cruciale alla luce delle tendenze di sviluppo globali.
Inoltre, ma non ci sono ancora fonti certe al riguardo, non è da escludere la possibilità che la Cina instauri basi militari o di spionaggio nelle isole Coco. “Great Coco Island” è una piccola isola birmana lunga 11 chilometri, ma la sua posizione è strategicamente importante: si trova a 55 chilometri dalle isole Andamane e Nicobare dell’India che ospitano basi della marina e dell’aeronautica militare indiana.
Preziose terre rare
Noah ha contribuito alla realizzazione infrastrutturale del Cmec per guadagnare il denaro necessario ad oltrepassare il confine. Ma a che prezzo? Il progetto infrastrutturale cinese ha un costo di circa 10 miliardi di dollari in un paese il cui Pil è stimato intorno ai 62 miliardi (nel 2022). È probabile che farà cadere il paese nella cosiddetta “trappola del debito” che lo costringerà a una posizione di sottomissione negli anni a venire.
Il costo delle strategie cinesi non è solamente economico. L’estrazione delle terre rare ha un costo – ironicamente – anche ambientale. In un articolo di Global Witness, “Fueling the future poisoning the present”, questa contraddizione emerge in superficie: chi vive nelle zone d’estrazione sta già accusando disturbi gastrointestinali e respiratori; ha smesso di pescare, nuotare e lavarsi nei fiumi.
Le infiltrazioni delle fasce di raccolta delle acque contaminate vengono gettate negli affluenti del fiume principale, l’Ayeyarwady, lungo il quale vivono quasi 54 milioni di persone. Il proseguimento delle indagini portate avanti da Global Witness ha rilevato un drastico aumento dell’estrazione di terre rare in seguito al golpe, ma per il momento non sembra esserci l’intenzione di intervenire per una regolamentazione.
Il Cmec, invece, sta subendo diversi rallentamenti in seguito al colpo di Stato; l’instabilità politica rende le trattative più complesse e il destino delle ambizioni cinesi dipende dal futuro governo del Myanmar.
L’Occidente in panchina
L’obbiettivo cinese è quello di tutelare i suoi interessi commerciali. Ufficialmente rimane fedele al principio di non interferenza non ritenendo di dovere intervenire nelle questioni di politica interna, se non come mediatore. Nei fatti, però, è innegabile un chiaro sostegno alla giunta testimoniato dagli accordi commerciali, dai tentativi di bloccare gli sforzi di intervento della comunità internazionale e dalle visite di Stato di alto livello: il ministro degli Esteri cinese ha incontrato il leader della giunta militare a metà agosto. Il Dragone vuole un governo abbastanza forte da creare stabilità politica nel paese, ma sufficientemente debole per non essere ostacolata nei suoi interessi: un governo autocratico privato dell’appoggio dell’Occidente.
Sia Noah che la Cina sperano in una repentina fine delle violenze che faccia luce sul destino del paese. Entrambi osservano la giunta dall’esterno, in una tensione silenziosa come quella dei tifosi un secondo prima del gol, ma la palla è ancora al centro. L’Occidente attende in panchina, ma comprendere le strategie in gioco è necessario per non farci trovare impreparati. Ciò che è in gioco in Myanmar non è solo una questione regionale: le conseguenze avranno un impatto globale.
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