Come è fallita la via emiliana alla pubblica istruzione

Mi domando il motivo per cui, dietro la maschera dell’ironia, Fred Perri ci propini continuamente assurde lezioni di realismo da fantascienza. Per conto mio, non lo leggo più.
Antonio Baffi via internet

Prendiamoci un po’ più spensieratamente e facciamo così: noi pregheremo il nostro tifoso del Genoa di essere un po’ più equanime con l’Inter (specie se, come quest’anno, ha tre formazioni da mettere in campo e non gli servono proprio gli arbitri, ha i numeri per vincere tutto). Voi pregherete gli amici tifosi nerazzurri di prendere con scaramanzia le maramaldate di Perri.

Abbiamo già segnalato il taglio al diritto allo studio scolastico in Emilia Romagna. Vedo che in giro, su cronache locali, aumentano le proteste, anche da parte sindacale. L’escalation è dovuta al fatto che sono aperti fino al 22 febbraio i bandi per gli assegni di studio e così qualcuno finalmente si accorge che scuole elementari e medie sono tagliate fuori. Il tema è serio perché la giunta regionale cerca di non far vedere che incassa in realtà un fallimento clamoroso. Avevano contrapposto il modello assegni all’emiliana ai buoni scuola lombardi, sostanzialmente giudicando il modello lombardo troppo a favore delle scuole paritarie, mentre il modello lombardo è un modello che tenta, molto più di quello emiliano, di coniugare un po’ di equità con la sacrosanta libertà anche per famiglie meno abbienti di poter scegliere scuole migliori. Il modello statalista fintamente egualitario dell’Emilia Romagna, voluto dall’allora assessore Mariangela Bastico, oggi ex viceministro, era fatto solo per non aiutare le famiglie a scegliere, preferendo assisterle paternalisticamente dall’alto. Oggi non reggono per ragioni economiche. L’aumento delle domande, facilitato dal taglio assistenzialista, a pioggia, delle borse di studio, aveva portato la spesa regionale a circa 20 milioni, nel 2005. Non riuscendo a reggere la domanda, la Regione ha prima ridotto la fascia Isee di accesso, poi l’importo delle borse. Nel 2007 la spesa regionale si è aggirata sui 18,2 milioni di euro. Ma non reggono nemmeno questo, così ora hanno ridotto le borse di studio ai tre anni delle superiori, mentre paradossalmente uno studio universitario, commissionato dalla stessa giunta, ha accertato che queste borse non servono a combattere la dispersione scolastica. È un bel fallimento nella competizione con la sussidiarietà orizzontale tentata da altre regioni, ma soprattutto è uno smacco nei confronti di studenti e famiglie.
Gianni Varani consigliere regionale
di Forza Italia in Emilia Romagna

Sarebbe bello se l’Emilia Romagna si liberasse da una certa atmosfera che mette le ali di piombo a un modello che in altri affari pubblici, per esempio la giustizia, parrebbe non abusare del proprio potere per portare intralci alla vita educativa, sociale e politica. Sussidiarietà, questo è il principio che in teoria la sinistra conosce molto bene ma in pratica non riesce ad applicare quasi mai (se non qualcosa in Lombardia) perché succube di cascami ideologici e vecchi parrucconi. Insomma, giusto per abbozzare un ragionamento sintetico, è dal ’48 che l’illuminismo cattolico popolare e liberalsocialista (linea De Gasperi, Einaudi, Giussani, Craxi) si batte contro l’oscurantismo azionista ed ex-neo-postcomunista (linea Togliatti, Dossetti, La Malfa, Diliberto) per l’interpretazione autentica dei princìpi di libertà, uguaglianza, giustizia (democrazia) della Costituzione. L’errore sta tutto nella forzatura ideologica (falsa coscienza) dello Stato democratico inteso come neutro, cherubino, impegnato in uno sforzo altruistico, al servizio dei cittadini, lavoratori, masse popolari eccetera, raccomandato dalla propaganda statalista, che contrasta con la lezione realista (da Machiavelli a Marx) e l’esperienza fattuale di cosa è “Stato”. Bando alle ciance, lo Stato è niente di meno, niente di più, che il complesso delle posizioni dominanti. L’errore sta tutto nella sottostima della libertà (da parte dell’ideologia, falsa coscienza) e nella sovrastima dell’uguaglianza (col risultato di fallire nella giustizia) come qualcosa di cui giudici e garanti sarebbero appunto i detentori delle posizioni dominanti. È su questo che, spartendosi i ruoli, convergono i teorici delle mani pulite gramsciane e le ossessioni azioniste sullo Stato laicista (non laico, cioè pluralista, ma proprio fanatico, cioè Cosa loro). È a causa di questa ideologia che erano destinati a fallire e, effettivamente, dopo tante baldorie e quasi mezzo secolo di incontrastata leadership, hanno fallito anche nella pubblica istruzione (vedi alla voce Sapienza, o alla sottovoce liceo di Portici, dove studenti delatori di sinistra e un vicepreside autoritario di sinistra hanno impedito ad altri studenti una raccolta di firme pro moratoria sull’aborto). C’è dunque da augurarsi che le tante persone di buon senso che fanno ancora politica e votano a sinistra, mandino finalmente in pensione non solo i poveri reduci del ’68, ma pure quella sinistra che vorrebbe avere le botti piene di voti blairiani e le mogli ubriache di vecchie idee dossettiane e Zagrebelsky.

Direbbe Hannah Arendt, anche questa volta, che Olindo e Rosa sono la dimostrazione di come sia terribilmente facile cogliere “la banalità del male”.
Nerella Bugio Milano
E terribilmente banale il reality show del male.

Questa me l’ero persa. Il candidato alla nomination repubblicana per le presidenziali americane John McCain (il preferito da Tempi, a quanto ho capito), alcuni mesi fa, davanti ai dipendenti di una fabbrica d’armi, avrebbe giurato: «Inseguirò Osama Bin Laden fino alle porte dell’inferno e gli sparerò con le vostre armi». Suonerà anche un po’ buffo qui da noi, ma quanto mi piacerebbe una bella elezione all’americana.
Roberta Zucchi Bologna

Sì, disse proprio così il Nostro non ancora “preferito” (stiamo infatti meditando seriamente sull’obiezione di Ann Coulter, la quale, nel caso il candidato fosse quello della Smith&Wesson, dice che farebbe campagna per Hillary Clinton, addirittura).

Ho letto con dolore e orrore gli articoli di Tempi sulla pratica dell’aborto. Appoggio pienamente la moratoria “culturale” di Ferrara, infatti penso che la cosa più importante su questo argomento sia l’educazione. Non solo l’educazione dei propri figli (io ne ho 4), ma dei propri parenti, amici, colleghi. Poco tempo fa mi è capitato di parlare di aborto con una collega, che era d’accordo nel lasciare la piena libertà di abortire. Io le ho chiesto se avesse mai visto un’ecografia di un bambino prima dei tre mesi e, dopo la sua risposta negativa, le ho fatto vedere le foto del feto prima del terzo mese, con il bambino già completo. È rimasta sorpresa. Ecco la battaglia culturale che ci aspetta e a cui tutti possiamo partecipare. Con stima.
Maurizio Amadori via internet

Caro Amadori, se ci fosse un’educazione del popolo, non soltanto tutti starebbero meglio, ma non definirebbero “feto” un neonato (“grande prematuro”) di 24 settimane e non risponderebbero al 70 per cento nei sondaggi di Repubblica.it che, siccome i più piccoli non hanno le smith&wesson dei Veronesi e delle Turco con cui difendersi, se una donna ha deciso di abortire, deve morire lo stesso, il bambino, anche se nasce vivo e resiste a vivere.

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