
Col deprezzamento delle tette nessuno ti manda più da Springsteen a Broadway

[cham_inread]
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Cara Guia, ero un uomo d’altri tempi. Una volta mi sarei presentato dicendo «mi piace la», e il complemento oggetto sarebbe stato anatomico, ma ora non si può più, pare che la parte per il tutto abbia smesso d’essere figura retorica e sia diventata vessazione, e io non ho più un’identità: cosa resta da dire di sé, a un uomo che ha imperniato tutta la propria vita sul suo amore per l’anatomia femminile, se quest’anatomia diventa un’evocazione offensiva? Tanto vale morire.
Eppure, sebbene orgogliosamente vecchio porco, non sono mai stato un uomo di quelli che meglio perderli. Non mi dispiaceva neanche l’intelletto (che invece si può ancora nominare: certe parti anatomiche sono meno impresentabili di altre). Per dire, nel giornale di donne nude che ho inventato c’erano un sacco di scrittori importanti, prestigiosi, socialmente raccomandabili. Ai miei tempi, prima di questo moralismo un tanto al chilo, andava piuttosto di moda dire che non lo compravi per le donne nude ma per leggere i reportage di autori illustri. Poi è arrivata questa rovina chiamata internet, il nudo è diventato gratis (a quello, avrebbero dovuto ribellarsi: mica ai nomi con cui chiamare le cose), e le cose lunghe e colte non ha più avuto voglia di leggerle nessuno. Cosa resta dei pilastri del mio impero, tette e letteratura? Niente per cui qualcuno sia disposto a pagare qualcosa. Tanto vale morire.
Una delle cose che mi danno più fastidio, nei coccodrilli che leggo (raccomando a chiunque di fingersi morto per leggere di nascosto i propri necrologi, è un’esperienza un po’ straniante ma molto istruttiva), è che mi si rievochi come quello che viveva in pigiama. Ma come vi permettete, brutti cafoni che magari passate la domenica in tuta da ginnastica. Quale pigiama. Il pigiama è un capo intimo e io sono un uomo discreto, non lo esponevo certo alla vista dei visitatori occasionali. Io vivevo in veste da camera (te l’ho detto che ero un uomo d’altri tempi). Erano bellissime, le mie vestaglie, cucite a mano, con certe rifiniture che non si trovano più, adesso che fanno tutto in Cina (ma forse non posso dire neanche questo: già mi stanno dando del maschilista, ci manca solo del razzista).
Che non mi si ricordi come un baluardo del femminismo mi ferisce, con tutto quel che ho fatto per le belle donne. Dicono che non è così che funziona l’emancipazione, che dal mio universo di progresso erano escluse le bruttine. Oh, ma devo salvare il mondo da solo? Fate qualcosa anche voi, cribbio.
Che poi lo so, sono stato al mondo abbastanza tempo da conoscerlo: passato qualche anno, capiranno che uomini come me non ne fanno più, che il porno gratis ha fatto perdere più posti di lavoro che la crisi dell’editoria, che fare la Playmate era meglio che fare la fashion blogger, per una ragazza carina ma magari non con grandi doti intellettuali (mica potete essere tutte premi Nobel). Se ne renderanno conto, e mi rimpiangeranno. Ma sarà troppo tardi: per allora, sarò morto davvero.
[Hugh H.]
n Caro signor Hefner, se fossi stata un ragazzo americano del Novecento, mi sarei abbonata a Playboy per poi dire che era per leggere Margaret Atwood. Siccome ero una ragazza italiana, mi accontentavo di nascondere gli Harmony dietro al letto mentre tenevo in accurata esposizione Guerra e pace. Cambiano i generi, ma il bisogno di copertura culturale è sempre lo stesso. Hai ragione su tutto, e mi dispiace molto per i ragazzini americani d’oggi, la cui educazione sentimentale non beneficerà d’un prodotto che contenga sia tette sia scrittori (gli italiani invece hanno le homepage dei quotidiani, per fortuna). Ma soprattutto mi dispiace per me, che abito un’epoca in cui le riviste non usano i proventi delle tette per mandare Norman Mailer a vedere Alì contro Foreman, o anche solo me a vedere Springsteen a Broadway. Dicono che è perché incassano meno. Per chi si ostina a essere vivo in questo secolo, il deprezzamento delle tette è un problema sociale. Lo è anche la mancanza di finiture decenti nelle vestaglie, sia chiaro.
Foto Ansa
[cham_piede]
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!