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Clericetti: «Quello di Fiorello è un one man show, non un varietà»

Guido Clericetti, autore televisivo che ha lanciato sulla scena Cochi e Renato, Paolo Villaggio e Montesano, dice a Tempi.it: «Il genere al quale si rifà Fiorello, andando molto indietro nel tempo, è lo show del cantante italo-americano Perry Como, negli anni ’50. Però durava un’ora, questo due ore e mezzo. Troppo»

Carlo Candiani
16/11/2011 - 8:14
Società
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Il varietà è forse il genere televisivo più difficile da realizzare. Il suo successo dipende dal gradimento sia della critica che del pubblico. Fiorello, che ieri ha condotto la prima puntata su Rai Uno di “Il più grande spettacolo dopo il weekend”, è oggi l’unico “animale da palcoscenico” in grado di produrre un evento che accontenta tutti. A quale dei grandi uomini di spettacolo si può avvicinare? «Lo avvicinerei a Walter Chiari» risponde a Radio Tempi Guido Clericetti, autore storico della televisione e della radio, che ha scritto per Vianello, Dorelli, ha lanciato sulla scena televisiva degli anni ’60 Cochi e Renato, Paolo Villaggio e Montesano. «Walter Chiari aveva la stessa carica ed energia, però aveva anche un sottofondo culturale che il pubblico era in grado di apprezzare, l’ironia era di un uomo colto. Anche Fiorello ha la stessa carica, però il livello è un altro, è sceso».

Fiorello ha anche la capacità di giocare con la musica, accontentando più generazioni, passando da “I due liocorni” allo swing di Sinatra.
Certo, usa l’esperienza che ha fatto in gioventù nei “Villaggi – vacanze”, ho apprezzato l’uso dell’orchestra, dopodiché… non si scende mai in profondità.

In tanti si sono ritrovati nel monologo del rapporto tra genitori e figli.
Ma sono quasi discorsi da bar, da salotto, fatti con spirito, però non si va oltre. Sono cose che dicono tutti con allegria, simpatia, vivacità. Ma sicuramente non con genialità.

Come mai tutte queste perplessità su uno spettacolo che ha fatto il 40% di share?
Premetto che ho superato la settantina e devo ammettere che dopo un po’ mi sono scocciato e sono andato a letto. La parola che descrive perfettamente il programma è “troppo”. Troppo pubblico presente, oceanico, troppo grande lo studio, tutto blu, una scenografia enorme nella sua vacuità, un semplice palcoscenico prolungato da una passerella, certo non una grande genialità, e poi… troppo Fiorello. Sempre Fiorello, un ospite con Fiorello, poi il monologo di Fiorello, poi una canzone interpretata da Fiorello.

E’ il genere “one man show”.
Esatto, ma il varietà è un’altra cosa. Il genere al quale si rifà Fiorello, andando molto indietro nel tempo, è lo show del cantante italo-americano Perry Como, negli anni ’50. Era lui il padrone di casa, intratteneva gli ospiti e cantava i suoi brani, senza imitare gli altri. Fiorello ha invece questa abilità e la sfrutta molto bene. Però durava un’ora, questo dura due ore e mezzo.

E’ il difetto dei varietà italiani.
Non è un difetto. Il problema sono i costi: alla Rai, come a Mediaset, fare in quello spazio tre programmi costa di più che farne uno solo, faraonico quanto si vuole ma ti dà la possibilità di risparmiare. E’ il meccanismo, ormai, dilagante della televisione: tutto dura troppo, perché più dura meno costa. E’ il concetto del contenitore.

Il mitico “Studio Uno” durava un’ora.
Durava un’ora e c’era più varietà, che vuol dire tante cose diverse, qui tante cose diverse non ci sono: sketch non ne ho visti, qualche specie di parodia, pezzi di bravura tantissimi, però slegati.

Ma l’autore, nello spettacolo televisivo di oggi, che ruolo ha?
Oggi gli autori e i conduttori fanno gruppo, gli stessi protagonisti collaborano ai testi. Una volta uno, di mestiere, faceva l’autore e l’altro lo showman. Oggi gli autori sono al servizio dell’artista e non dell’intero spettacolo. La differenza è che una volta l’autore aveva un’idea e la proponeva all’artista, qualsiasi fosse, ora esiste l’artista e intorno a lui bisogna costruire le idee.

Più in generale, che funzione ha il varietà in questo momento di crisi economica?
Da una parte consolatoria, dall’altra la prima che ho pensato guardando Fiorello è stata: “Quanti soldi ci hanno messo!”. In questo momento storico mi ha dato leggermente fastidio, anche se avranno un ritorno, con la pubblicità ecc…, però che dovizia. Non mancava nulla. Per il resto, io non so se la gente si lasca consolare. Certo, se resiste, per quelle due ore non pensa ai suoi problemi, poi una volta finito si becca Vespa, o se va a dormire, la mattina dopo, apre il giornale e capisce che non è cambiato niente.

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Tags: fiorelloil più grande spettacolo dopo il weekendtelevisionevarietà
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