Claire Ly: Te Deum laudamus per la Tua compagnia nel lager dei khmer rossi
Come da tradizione, anche nel 2013 l’ultimo numero del settimanale Tempi è interamente dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso firmati da diverse personalità del panorama sociale, culturale e civile italiano e non solo. Nella rivista che resterà in edicola per due settimane a partire dal 27 dicembre, troverete, tra gli altri, i contributi di Carlo Caffarra, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, Ben Weasel, don Gino Rigoldi, Costanza Miriano, Luigi Amicone, Marina Corradi, Aldo Trento, Pippo Corigliano, Monica Mondo, Francesco Belletti, Antonio Saladino, Samaan Daoud da Damasco, Claire Ly, Susanna Campus, Antonio Benvenuti, Fred Perri, Berlicche.
Pubblichiamo qui il “Te Deum” di Claire Ly, ex insegnante in Cambogia, internata dal 1975 al 1979 in un campo di rieducazione dei khmer rossi e scampata a uno dei crimini più rapidi e spietati del Novecento, il genocidio del popolo cambogiano da parte del regime comunista di Pol Pot (qualcosa come due milioni di morti sui circa sette della popolazione totale, in soli quattro anni). Nei killing field Claire Ly ha perso il marito e i fratelli. Sopravvissuta insieme ai suoi due figli, dopo la fine della dittatura è emigrata in Francia dove insegna e scrive libri. E dove ha chiesto e ottenuto di entrare nella Chiesa cattolica. L’ultima sua opera uscita in Italia è La mangrovia. Una donna, due anime (Pimedit).
Mi chiamo Claire Ly, sono una cambogiana uscita viva dai campi di internamento dei khmer rossi, e ringrazio Dio perché mi ha dato una certezza che non è chiusa su se stessa, ma è aperta come una ferita. Ringrazio perché la verità non è qualcosa che io possiedo, ma qualcuno che sta davanti a me. Voglio dire che la mia fede si nutre della certezza che il Resuscitato ci precede sempre. Egli non è nostra proprietà. Non lo è nemmeno della Chiesa: lo spirito di Cristo non può essere rinchiuso da nessuna parte.
Oggi vivo in Francia, insegno e scrivo libri. Ma fra il 1975 e il 1979 ho perso tutto: mio padre, mio marito e i miei fratelli sono stati fucilati, e nel giro di 24 ore ho dovuto lasciare il mio lavoro di insegnante e traduttrice, la mia casa, i miei vestiti, e coi capelli tagliati corti come quelli delle contadine sono stata deportata, incinta, in campagna e costretta lavorare nelle risaie. Ero buddhista, ma non potevo accettare l’interpretazione buddhista del male, la legge del karma secondo cui chi è vittima di un’ingiustizia sta ricevendo il contraccambio per le ingiustizie che ha compiuto nelle sue vite precedenti. Ero piena di rabbia, che nel buddhismo è uno dei tre veleni (gli altri due sono l’odio e l’ignoranza) che uccidono l’anima.
Per liberarmi da quel sentimento mi sono costruita un oggetto mentale su cui riversare il mio malanimo. In Occidente avreste detto che mi ero trovata un capro espiatorio. Quell’oggetto era “il Dio degli occidentali”, al quale urlavo la mia rabbia e che accusavo delle mie disgrazie. Dopo due anni di quella vita, ho cominciato a provare una strana sensazione: una presenza invisibile accanto a me. Il Dio contro il quale avevo gridato, senza chiedere mai nulla, aveva ascoltato la mia non-preghiera. All’inizio ho pensato che stavo vaneggiando, ma poi mi sono accorta che insieme alla percezione della misteriosa presenza era avvenuto in me un cambiamento: ho cominciato a commuovermi per la sofferenza altrui, non ero più chiusa su me stessa e sulle mie perdite. La Cambogia ha perso due milioni di abitanti su sette nei quattro anni del potere khmer, la mia disgrazia era la stessa di milioni di persone. Ho vissuto altri due anni nei campi, ho visto i bambini sottratti alle famiglie e mandati a vivere da soli, i neonati passati da una madre all’altra per l’allattamento perché maternità e figliolanza dovevano essere solo collettive.
Quando il regime dei khmer rossi è finito, mi sono trasferita in Francia. È lì che ho scoperto che il Dio che mi era stato compagno nelle risaie era il Dio di Gesù Cristo. Nessuno ha cercato di convertirmi. Mi sono interessata ai Vangeli perché nei giornali che gentilmente mi portavano, perché mi tenessi informata sulla Cambogia, trovai una copia dell’enciclica Dives in misericordia di Giovanni Paolo II. C’erano tante citazioni dai Vangeli, e io chiesi di poterli leggere. Così scoprii la figura di Gesù Cristo.
Gesù è uno che piange, che si arrabbia
Di lui mi ha colpito subito la libertà: nonostante le sue umili origini, nonostante la situazione politica dell’epoca, nulla lo poteva fermare. Gesù di Nazareth mi ha sedotto subito come maestro, e questo non era in contraddizione col buddhismo, che permette una pluralità di maestri: mi sono messa ad ascoltarlo. Quel che mi colpiva di lui, era la vicinanza, il fatto che era un maestro alla mia portata. Buddha è il maestro che mostra la strada verso il Nirvana, ma soltanto lui è arrivato alla saggezza suprema. Solo lui è stato capace di vivere senza mai piangere, senza mai provare rabbia. Questo lo rende lontano, un modello inarrivabile. Invece Gesù è uno che piange, che si arrabbia: l’ho sentito vicino e simile a me. Nel buddhismo l’uomo è chiamato a liberarsi da sé, nel cristianesimo Dio si incarna in Cristo per liberarci. Un giorno ho voluto partecipare a una Messa ed è lì che è successo qualcosa. Il mio desiderio è cambiato, non volevo essere semplicemente una che ascolta, ma una che segue il maestro. Ho sentito che Colui che aveva camminato per tanto tempo con me voleva che lo riconoscessi. La mia risposta è stata domandare il Battesimo, che mi è stato impartito nel 1983 nella diocesi di Nîmes.
La fede cristiana ha questo in più di qualunque altra fede religiosa: che è Dio che si abbassa fino a noi. Questo è un movimento unico fra tutte le religioni. In tutte le altre esperienze religiose si tratta sempre di salire, anche il buddhismo richiede un’ascesi continua. Invece nel cristianesimo è Dio che si colloca alla nostra portata. Di questo non prenderemo mai abbastanza coscienza.
(testo raccolto da Rodolfo Casadei)
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4 commenti
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ancora oggi qui da noi vi è un silenzio incredibile su quel regime assassino, non se ne parla mai e si preferisce andare a parlare del solo nazismo. IL motivo è che gli occidentali sono stati complici di quel regime, ne favorirono l’ascesa e i suoi crimini poichè l’occidente tutto è pervaso dalla criminale ideologia rossa
Ma ,caro Giuliano, la storia di Clare Ly non ti ha commosso neanche un pò?
cara Giovanna, appunto perchè mi ha commosso sale la rabbia e ho scritto quello che ho scritto