Cina. Nell’era di Xi Jinping conta solo la fedeltà assoluta al leader

La promozione di Li Qiang, responsabile del disumano e disastroso lockdown di Shanghai, a numero due del Partito comunista dice tutto della nuova fase in cui è entrato il regime

L’Era delle riforme e delle aperture inaugurata negli anni Ottanta da Deng Xiaoping è finita in Cina anche formalmente (di fatto lo era già da dieci anni). Al XX Congresso del Partito comunista, come ampiamente previsto, Xi Jinping è riuscito a trionfare e a farsi rieleggere per un terzo mandato. D’ora in poi il segretario generale non sarà più visto come un “primum inter pares”, ma come un leader assoluto. Il modello dei “nove dragoni che addomesticano i fiumi” è terminato: i rapporti interni al Comitato permanente del Politburo non saranno più gestiti all’insegna della leadership collettiva. Da oggi conta solo l’obbedienza al novello Mao Zedong, l’imperatore Xi Jinping.

Xi Jinping stravolge il Partito e la Cina

Il nuovo modo di gestire i rapporti di potere in Cina è esemplificato dalla scalata ai vertici del Partito di Li Qiang. Alla vigilia del Congresso, tutti gli esperti ritenevano che il capo del Partito di Shanghai, per quanto fedelissimo di Xi, fosse virtualmente fuori dai giochi per i ruoli che contano. Nessuno si aspettava domenica di vederlo camminare subito dietro al “presidente di tutto” nella Grande sala del popolo.

Li non solo non è stato scartato, ma è diventato il numero 2 del Partito comunista e di conseguenza è il principale indiziato per essere eletto come primo ministro a marzo, quando Xi sarà confermato alla presidenza della Repubblica popolare.

L’incredibile promozione di Li Qiang

Prima che Xi stravolgesse le consuetudini del Partito, Li non avrebbe avuto alcuna speranza. Non solo, al contrario di altri primi ministri, non ha avuto alcuna esperienza come vicepremier. Ma non ha neanche mai servito come capo del Partito nelle province più povere della Cina, un “must have” da decenni per chi vuole assumere degnamente il ruolo di guida delle masse.

Soprattutto, Li è il responsabile del disastroso e «disumano» lockdown di Shanghai, tra le principali cause del rallentamento dell’economia cinese nel terzo trimestre (il Pil è cresciuto del 3,9 per cento – minimo storico – contro una previsione del 5,5 per cento).

Il «disumano» lockdown di Shanghai

Per inseguire il sogno antiscientifico di debellare il Covid-19, Li Qiang ha confinato in casa per oltre due mesi i 25 milioni di abitanti di Shanghai, incaricando i 50 mila funzionari dei seimila comitati residenziali di tradizione maoista di prendersi cura di loro.

L’applicazione più rigorosa e fedele alla linea della politica “zero Covid” di Xi Jinping è stata un disastro. Al di là degli episodi più eclatanti di residenti morti di fame o per mancanza di medicine o per suicidio dettato dalla disperazione, la seconda città più importante della Cina è stata trasformata in una prigione a cielo aperto. Case sbarrate dall’esterno per non far uscire i positivi, quartieri sigillati da recinzioni alte tre metri con tanto di filo spinato, trasferimento coatto di settimane e settimane nei fatiscenti centri governativi per la quarantena. E ancora, arresti e minacce per chi protestava online, genitori separati dai figli, tamponi obbligatori a ogni ora del giorno e della notte.

Ci sono tutte le premesse per un nuovo disastro

Non c’è abitante di Shanghai che non detesti Li Qiang e che non lo consideri un inetto, un politico incapace di far prevalere la realtà sull’ideologia. Ed è proprio per questo che Li è diventato il numero 2 del Partito comunista: la sua lealtà a oltranza a Xi, oltre ogni limite di razionalità, gli è valsa la promozione. La fedeltà al leader è ormai l’unico criterio richiesto per far parte della cricca di Xi.

La promozione di Li è il manifesto della nuova Cina di Xi Jinping, che assomiglia terribilmente a quella vecchia degli anni Cinquanta-Sessanta di Mao. Il “Grande timoniere” premiò quei funzionari che preferirono obbedirgli e restargli fedeli, durante il Grande balzo in avanti, piuttosto che salvare dalla carestia la vita di milioni di cinesi.

Poiché solo chi obbedisce a Xi, alimentando il culto della personalità, potrà sopravvivere al potere nella nuova Cina, ci sono ormai tutte le premesse per il verificarsi di un nuovo terribile disastro. Parte integrante del “sogno cinese” di Xi Jinping, che passa dal “Grande rinnovamento della nazione cinese”, è la riunificazione di Taiwan alla Repubblica popolare. Non c’è dubbio che il “nuovo Mao” sia disposto a scatenare una guerra disastrosa pur di entrare nella storia. Se e quando accadrà, chi avrà il coraggio all’interno del Partito di fermarlo?

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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