Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Tutti concordano sul tratto becero delle vignette di Charlie Hebdo riguardanti il terremoto del 24 agosto. Il dissenso è fra chi ritiene che si sia oltre una mera questione di gusto becero, e chi invece – pur dissociandosi con termini altisonanti dal merito delle vignette – non si schioda dalla difesa della assoluta libertà della satira in quanto satira.
Mettiamoci d’accordo. Non è in gioco la tolleranza, neanche la più lontana, per atti di violenza, o anche solo di minaccia, verso i vignettisti; precisarlo fa fare la figura degli stupidi, ma siamo nella necessità di ribadire l’ovvio. Nemmeno è in gioco la libertà di espressione, pur nella forma necessariamente forzata della presa in giro. È in gioco qualcosa di diverso: è capire se ci sono atti della nostra vita quotidiana – fra cui la satira – legibus soluti a prescindere, se la caricatura legittima tutto, se alla fine è solo questione di buon gusto: come andare a cena in un ristorante di lusso con bermuda rosse e canottiera a strisce. A parte che conciato così al ristorante non ti fanno neanche parcheggiare l’automobile (quando c’è di mezzo il cibo, le regole e il loro rispetto valgono, eccome), nell’ultimo episodio, il cui effetto ancora una volta è stata propaganda gratis per il fogliaccio parigino, l’incoerenza sta dalla parte di chi ha protestato, non di chi ha ribadito la posizione iper-libertaria.
Spiego perché. Le vignette sul terremoto sono state l’equivalente del vilipendio dei corpi delle vittime e del disprezzo del dolore di chi è rimasto in vita; hanno colpito così volgarmente, da indurre alla dissociazione perfino la diplomazia francese; hanno rotto la coltre di sacro che accompagna sempre e da sempre tragedie come quella di Amatrice e dintorni. Sono entrate in un territorio nel quale non c’è margine per lo scherzo: nel quale il semplice riso rinvia alla stoltezza della bocca su cui è stampato. Domanda: ma scopriamo adesso che è così? Non è violare la sfera intangibile del sacro raffigurare l’Eucarestia, il Crocifisso e la Vergine secondo le modalità più volte usate da Charlie Hebdo? Cambiando quel che c’è da cambiare e con intensità differenti, il fedele cristiano non si sente ferito nell’intimo come il sopravvissuto al sisma? E che cosa deve provare lo stesso fedele se sul medesimo stesso giornale – come è accaduto – vede il Vicario di Cristo disegnato in relazione amorosa con una guardia svizzera? Più o meno il sentimento che prova il musulmano che scopre Allah e Maometto pesantemente ingiuriati. La lesione di quanto c’è di più sacro vale a intermittenza?
Papa Francesco ha fatto la sua scorta di critiche, talora pesanti, quando col consueto stile diretto ha raccontato che se un suo collaboratore gli offendesse la madre reagirebbe con un pugno (precisazione sempre stupida ma necessaria: un pugno, non un attentato terroristico). Potremmo chiuderla qui. Non senza constatare, però, che l’ultima vicenda rinvia a una questione non secondaria.
La licenza del clown
Tutto ciò che riguarda l’uomo conosce dei limiti; al clown non è permessa ogni cosa, se la saggezza popolare – molto più “saggia” di tanti editorialisti – trasmetteva la massima “scherza con i fanti e lascia stare i santi”. Il clown si concede delle licenze, ovviamente larghe, ma quando i suoi lazzi incrociano non il concetto astratto di morte, bensì bambini, donne, uomini, chiusi nelle bare e nemmeno sepolti, ha il dovere di fermarsi. Questo dovere è più avvertito se la sua condivisione include quell’intimità del sacro tutelata da ogni civiltà: altrimenti perde credibilità.
Vi è coerenza, oltre alla contiguità geografica, fra l’oltraggio portato da quelle vignette e l’apologia delle natiche scoperte – quale segno eccelso di civiltà europea – su cui si fondano le ordinanze anti-burkini: il filo conduttore è il rifiuto dell’intelligenza, e quindi pure della sensibilità per il rispetto di ciò a cui teniamo di più perché ci tocca nel cuore. La più che fondata ribellione di fronte a ferite così profonde è sulla stessa linea del superamento dell’indifferenza quando riguarda l’oltraggio che colpisce la Croce.
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