Chi è Mr.Incredible

Di Autieri Antonio e Musicco Beppe
07 Settembre 2006
Lo squalo ha ingoiato il pesciolino. Così spiegano l'operazione Disney-Pixar. Ma a vederla al cinema pare il contrario

Fu grande il clamore, mesi fa, quando la Walt Disney Company acquistò la Pixar. Dopo quindici anni di alleanza (tutti i film Pixar, da Toy Story a Gli incredibili, sono stati distribuiti dalla Buena Vista del gruppo Disney) qualcosa si era guastato. La crescente fama di Pixar reclamava maggior considerazione, anche economica; inoltre non correva buon sangue tra il gran capo Disney Michael Eisner e i vertici della casa indipendente. Che annunciarono così la rottura: Cars sarebbe stato l’ultimo film del matrimonio “animato”; Pixar avrebbe valutato le offerte di altre major (Warner, Fox) disposte a svenarsi pur di sostituire Buena Vista. Poi lo scenario è cambiato radicalmente. Cacciato Eisner dalla Disney dopo oltre vent’anni di regno (a fargli la guerra Roy Disney, nipote di Walt), il successore Bob Iger ha subito mostrato di voler recuperare il rapporto col partner. Di più: la piccola casa di Steve Jobs e John Lasseter è stata acquisita dal grande studio.
Come leggere questa notizia? Il grande che mangia il piccolo? Non proprio. Infatti, non solo Jobs (che è anche il capo di Apple: sinergie in vista) siede nel consiglio di amministrazione della Casa del Topolino, ma ne è anche il primo azionista con il 30 per cento delle quote. Soprattutto, in Disney si guarda ai ragazzi terribili del nuovo acquisto come alla risorsa per risollevare l’animazione dalle secche di anni poco brillanti: a capo di Disney Animation è stato nominato proprio Lasseter. Per capire la Pixar – ovvero “pixel” più “art” – bisogna partire da lui, John Lasseter, vicepresidente e mente creativa. Giovane disegnatore Disney, nel 1981 vide alcune sequenze in computer grafica del film Tron. Colpito dalle potenzialità del mezzo, iniziò a lavorare su personaggi disegnati su un’ambientazione generata al computer. L’indifferenza di Disney spinse John a passare a LucasFilm (la casa di George Lucas, il regista di Star Wars), dipartimento Industrial Light and Magic, che elaborava gli effetti speciali. Fu il gruppetto di Lucas che nel 1986 diede vita alla Pixar come società indipendente. Amministratore Steve Jobs, fondatore di Apple. Del 1991 è il contratto che lega Pixar alla distribuzione Disney, un accordo da cui nasce, nel 1995, Toy Story. Costato “solo” 30 milioni di dollari, ne ha incassati solo negli Usa quasi 200 al cinema e più di 150 in home video. Da allora Pixar non ha mai fallito al botteghino, arrivando con Alla ricerca di Nemo alla cifra record di 340 milioni di dollari e all’Oscar. Successo conseguito proprio mentre in Disney, dopo la rinascita di inizio anni Novanta (La Sirenetta, Aladdin, Il re leone, Il Gobbo di Notre Dame), qualcosa si era inceppato. Ora Pixar, apparentemente assorbita dal gigante, può paradossalmente salvare l’animazione Disney.

Animazione e temi scorretti
Settore importante dal punto di vista economico, ma anche educativo, considerato l’impatto che i cartoon hanno sui piccoli spettatori. Innovativa fin da Toy Story, che racconta un tema classico dell’animazione come l’amicizia con un accento di profondità insolito, Pixar ha poi rilanciato argomenti politicamente e culturalmente scorrettissimi come la paternità e la famiglia. Dal mostro burbero di Monster’s & Co. che si ritrova tra i piedi una bambina umana e scopre così la bellezza di essere padre, alla tenacia di Marlin, il pesce pagliaccio che di fronte all’immensità dell’oceano non perde la certezza di ritrovare il figlioletto (Alla ricerca di Nemo); per arrivare alla forza di una famiglia (Gli incredibili) che riesce a far fronte al male più assoluto grazie alla forza della propria unità. Tutti film che in modo semplice riescono a dire grandi verità: che «la famiglia è la più grande delle avventure che possano capitare» (parola di Mr Incredible) o che le prove difficili sono più leggere se hai una compagnia di amici che non ti molla mai. Temi sempre un po’ latitanti nelle produzioni Disney (dove spicca invece l’assenza dei padri, eco verosimilmente dell’infanzia dolorosa di Walt), che Pixar ripropone in forme sorprendenti: c’entrerà il fatto che Lasseter è padre di una famiglia molto numerosa? Mentre i suoi film non hanno mai fatto l’elogio del sogno o della fuga dalla realtà (come scordare, nel celebratissimo Cenerentola, lo sciagurato «dimentica il presente e il sogno sarà realtà»?).

Iniezioni di vitalità
Ora, la legittima speranza è che la filosofia Pixar contagi anche il moloch disneyano. Incerta, nel tempo, la modalità: la piccola casa rimarrà davvero autonoma, con la sua sede di San Francisco, e si cercherà di iniettare vitalità nella vecchia Disney (Lasseter, a sorpresa, ha dichiarato di voler tornare anche al disegno tradizionale: il computer è solo uno strumento), o prima o poi le due realtà diventeranno una sola? A giudicare dalle prime mosse, dovrebbero restare entità distinte. In Pixar tengono alla propria identità.

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