Chi ha incastrato il pio Bové?

Di Arrigoni Gianluca
29 Novembre 2001
È stato la terza persona della trinità no-global dell’anti G8 a Genova. Ha fondato un sindacato estremista, ispira gli attacchi ai Mc Donald’s e gode di una buona reputazione nel circuito mediatico della gauche plurielle. Ma rischia di passare il Natale in prigione, per aver distrutto coltivazioni transgeniche frutto di anni di ricerche. Suo padre (noto scienziato globalista) chiede che suo figlio sia perdonato perché «non sa quel che fa». E un compagno di lotta si dissocia: «Bové? Non è un eroe, neanche per caso» di Gianluca Arrigoni

Parigi. José Bové, la nota greenstar francese dell’ambientalismo fondamentalista, che, dice lui, gira il mondo «per difendere l’umanità» (nelle sue tournée non ha dimenticato l’Italia, Genova, luglio, dove ha posato per i fotografi con Casarini e Agnoletto), potrà forse iniziare a prendersi qualche mese di riposo. Saranno i giudici della corte d’appello di Montpellier a deciderlo, il 20 dicembre prossimo. La pubblica accusa ha infatti chiesto per Bové una condanna a otto mesi di carcere. Essendo recidivo, rischia di passare il Natale in cella e, diciamo così, di rimanere assente, almeno fino alla prossima Pasqua, dal teatro delle operazioni no global.

Come ti distruggo anni di ricerche

I fatti. Il 5 giugno del 1999 Bovè, insieme ad altri “militanti” della sua organizzazione sindacale, la marxista Fédération Paysanne, entrò illegalmente nei locali del Cirad (Centro di cooperazione internazionale nella ricerca agronomica per lo sviluppo ) e distrusse delle piantine di riso transgeniche coltivate in serra e frutto di anni di ricerche. Bové si giustifica affermando che la sua azione, pur essendo illegale, è legittima perché quelle piantine di riso rappresentavano «una minaccia diretta, finanziaria e sanitaria per le agricolture povere dell’emisfero Sud al quale erano destinate». Il Cirad – un ente pubblico e non un’impresa privata – è specializzato nella ricerca agronomica applicata alle regioni calde; in altri termini ha come missione di contribuire allo sviluppo rurale dei paesi tropicali e subtropicali. Durante il processo di primo grado, svoltosi il 15 marzo scorso, la Cirad poté dimostrare che non solo le piantine di riso distrutte facevano parte di progetti di ricerca assolutamente legittimi dal punto di vista legale, ma che questi progetti – ai quali partecipavano delle università italiane come l’Università Cattolica del Sacro Cuore – erano fatti nell’interesse dei consumatori francesi ed europei così come degli agricoltori dei paesi del Sud del mondo. In primo grado José Bové, René Riesel e Dominique Soullier, tutti membri della Confédération Paysanne, vennero condannati.

Il cursus honorum di un idolo di Seattle

Bovè non é nuovo all’esperienza, fu già condannato a otto mesi per aver distrutto (1998) una parcella di piante transgeniche e deve la sua notorietà all’azione del 12 agosto 1999, a Millau, nel sud della Francia quando, accompagnato da un centinaio di militanti, demolì un Mc Donald’s in costruzione causando danni per 250 milioni di lire. Bové venne arrestato, salutò con le manette ai polsi i suoi simpatizzanti, venne appoggiato da un ottimo sistema di propaganda mediatica. Il bucolico sindacalista agì con evidente violenza, generò una inevitabile repressione da parte dei poteri dello Stato, ma grazie a una lobby gauchista molto compiacente (e, almeno in Francia, anche governativa) si mostrò (cosa che riuscirà solo in parte a Genova) come una vittima e martire di una giusta causa. Durante il processo, in un’enfasi davvero lirica l’avvocato della difesa, Marie-Christine Etelin, affermò che «Con il processo di Millau é la prima volta che degli uomini si alzano e rivendicano i loro atti nell’interesse dell’umanità. Sono molto fiera di essere accanto a loro». Demolire un Mc Donald’s nell’interesse dell’umanità? Peccato che, nella furia di colpire un simbolo, il 19 aprile del 2000 una povera ragazza ci ha lasciato la pelle. Perché? Perché, per disgrazia, lavorava in un Mc Donald’s che un sedicente gruppo indipendentista bretone, sulla scia del glorioso José, ha fatto saltare in aria, sperando così di ottenere un po’ di visibilità giornalistica. Ma la tragedia non ha diminuito il successo di Bové. Durante il processo ottenne, tra gli altri, il sostegno Harlem Desir, socialista e attualmente deputato europeo, che dell’azione contro Mc Donald’s disse: «lo smantellamento di un Mc Donald’s è un atto puramente simbolico». E un suo collega, il parlamentare socialista Yann Galut – cofondatore del comitato parlamentare di sostegno all’associazione di estrema sinistra Attac, comitato al quale hanno aderito 120 deputati della “sinistra plurale” – aggiunge : «Non si può criminalizzare l’espressione di una rivendicazione sociale». Come no. Per coloro che fossero sorpresi da queste dichiarazioni, è forse opportuno precisare che in Francia non esiste una legge che imponga il consumo degli hamburger di Mc Donald’s, così come non c’è una legge che impedisca a Bové e ai suoi seguaci, di dare vita ad una catena di ristoranti dove si possa mangiare spendendo poco o, addirittura, gratuitamente, rendendo così evidente a tutti “l’utopia realizzata”.

I dubbi degli (ex) amici di Bosé

Bosé non ha seguito la conversione di Patrick Moore, cofondatore ed ex-presidente di Greenpeace, che ha ammesso: «Il pubblico é molto sensibile alla disinformazione, particolarmente alle tattiche che cercano di spaventarlo. Ma sono sicuro che quando il pubblico sarà ben informato sulle biotecnologie, capirà che i vantaggi prevalgono di molto sugli eventuali inconvenienti… Se consideriamo lo sviluppo sostenibile in senso largo, cioè la sostenibilità sociale, economica ed ambientale, le biotecnologie sono positive per la biodiversità, sono positive per i nostri obbiettivi sociali e, dal punto di vista economico, permetteranno di produrre in più grande quantità degli alimenti più sani». Soprattutto Bové deve avere qualche timore che l’amico e coimputato René Riesel cominci a raccontare qualche retroscena un po’ meno eroico di quelli leggendari narrati dalla pubblicistica antiglobalista. Dopo l’ultima udienza, prima di uscire dall’aula, René Riesel ha infatti inviato all’eroe un messaggio chiaro e forte: «Il mio posto oggi non é alla sbarra, perché non mi associo alla lotta intesa come un grande spettacolo condotta dai due uomini al mio fianco. C’è del confusionismo chiassoso nelle loro azioni, del piacere a partecipare ad una specie di grande circo con i media».

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