A chi fa gioco la logica del “tanto peggio, tanto meglio”

Leggo una frase del libro di Festa che mi ha particolarmente colpito: «Il piccolo establishment è terrorizzato da una reale stabilizzazione dell’Italia, dalla fine delle varie emergenze a partire da quella giudiziaria che solo consentono al ristretto circolo mediatico-finanziario di esercitare una spropositata funzione di regia sulle vicende della società italiana». Questa osservazione è importante perché dà un’ipotesi di spiegazione al fatto per cui di fronte a certi fermenti di positività, la ripresa sociale ed economica non decolli. Penso ad esempio al fatto che dal 2001 al 2007 una parte della piccola e media imprenditoria si è riciclata ed è riuscita a diventare competitiva nonostante la mancanza di infrastrutture, l’inconsistenza della nostra politica estera, un mercato del lavoro che dopo l’apertura della legge Biagi tende a essere di nuovo compresso, una tassazione almeno del 10 per cento superiore alla soglia del ragionevole e, in generale, un quadro politico-istituzionale a dir poco stagnante. Come mai non si sostiene la straordinaria performance che emerge dal basso del tessuto produttivo italiano? Come mai, per esempio, in tema di welfare, dopo lo statalismo non si attuano anche in Italia soluzioni tipo i “quasi mercati” blairiani? O ancora, perché non si esporta il modello virtuoso di amministrazione lombarda, dove sono stati sperimentati con successo i voucher scolastici e assistenziali, dove la sanità è in ripresa, ha una spesa più contenuta rispetto alle altre regioni italiane e al tempo stesso realizza picchi di eccellenza che ci collocano ai vertici dell’offerta sanitaria europea? Sembra che il cosiddetto piccolo establishment descritto da Festa trovi il suo equilibrio proprio nell’impedire che si liberino forze capaci di rappresentare un’Italia diversa da quella espressa dal “partito della decadenza”. Si capisce che nel momento in cui si documenta l’esistenza di un positivo che è in marcia, nel momento in cui si danno strumenti al tessuto sociale e produttivo, nel momento in cui il sistema riprende a funzionare e la politica torna a “sedersi a capotavola”, a quel punto certi circoli diventano marginali. Al massimo si dice che l’Italia deve restare una colonia, che le costruzioni dal basso sono male, che la sussidiarietà è da tenere in gran dispetto, che le appartenenze sono da tagliare e che l’Italia deve smetterla di essere una società anomala per integrarsi nel sistema dominato dal capitalismo finanziario internazionale. Il pregio di questo libro è che ci offre un filo rosso e una sin-tesi per leggere cosa c’è dietro la logica del “tanto peggio tanto meglio” che vuole lasciare questo paese in stallo.

presidente della Fondazione per la Sussidiarietà

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