
Cevoli: «A chiamarlo “scosùn”, il terremoto fa meno paura»
A chiamarlo “scosùn”, scossone, fa meno paura. Non vuol dire negare l’evidenza, il dramma, i morti. E non è nemmeno un modo banale di nascondersi dietro a una battuta. È che in quell’approccio alla vita c’è tutta la tempra di un popolo, che proprio nei momenti di difficoltà emerge in modo molto naturale. E utile. Lo sa bene il comico romagnolo Paolo Cevoli, nato a Riccione e trapiantato a Bologna, volto noto della trasmissione televisiva Zelig e, soprattutto, orgoglioso figlio di imprenditori, più precisamente albergatori, in una delle tante pensioncine nate sulla riviera Adriatica negli anni Sessanta. «Servivo ai tavoli i piatti che cucinava mia madre: lasagne e tagliatelle, grigliate di pesce, piadine e braciolate. Mio padre era lo showman della sala. Ho sgobbato tanto, mi sono divertito, ho imparato tutto». Cevoli ha partecipato all’incontro organizzato dalla Cdo a Cavezzo raccontando la sua storia e strappando alla sala più di una risata. Ha stretto mani, bevuto spremuta e raccontato di sé. Il terremoto? «È stata una prova impegnativa. Questa è una regione benedetta, che ha avuto un sacco di cose belle, dalla terra e dagli uomini. Forse la cosa più bella che ha avuto è la capacità di non lamentarsi e guardare sempre il bicchiere mezzo pieno. Anzi, tutto pieno. Qui la gente sa mettere sempre l’accento su quello che c’è, non su quello che manca».
Ma dov’è il positivo, in un sisma che ha fatto crollare case e certezze? «A me sembra che le cose più belle siano state riscoperte proprio in questo periodo. Mi pare che questa gente non abbia bisogno di “aiuti”, in senso statalistico. È il resto del mondo che ha bisogno di loro, per capire da cosa è possibile ripartire quando ti viene a mancare tutto. Mi ha stupito che questo terremoto ha buttato giù capannoni e campanili: i due luoghi di culto della zona. Assieme alle discoteche». Ha senso provare a ripartire da un’amicizia, o è un concetto troppo astratto, poco utile? «La vita è una strada. Se hai lo spirito che hanno i bambini in gita, quando ogni passo è un’avventura, il succo caldo sembra la cosa più buona del mondo e la via è più semplice da percorrere. Penso che noi siamo destinati a questo, non meno che al massimo dei massimi. Non di meno. L’uomo è fatto per stare in comitiva. Bisogna essere in due per sorridere».
Non è semplice, «ma è indispensabile. Vitale. Quando penso alla mia terra immagino sempre due sorelle che conducono una trattoria. Una si chiama Emilia, alta e prosperosa, lavoratrice instancabile. L’altra è Romagna, schiumeggia in mezzo ai tavoli, riccia e bionda. Il cliente entra, sente una risatina e si gira: è la Romagna che gli dà il menù. Lì c’è tutto: dalla festa dell’Unità al Meeting di Rimini, dalla piadina con lo stracchino al pesce fritto. Quando c’è stato il terremoto, ho pensato a cosa sarebbe successo di quella trattoria. La cucina? Crollata. Le camere al piano di sopra? Niente: due brandine, fuori e al sicuro. Ma guai a chiudere. Mi sembra di vederle, le due sorelle, che si rimboccano le maniche: non si può cucinare? Si serve un bel tagliere di affettati. Non c’è il frigo? Che problema c’è? Si mette il Lambrusco nel pozzo. E ora accendiamo la radio e mettiamo anche un po’ di musica. Non funziona? Non c’è la corrente elettrica? Poco male. Cantiamo noi».
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1 commento
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Paolo cevoli,sempre più grande, non solo come comico. Grazie