
Centrafrica. Cristiani aiutano i ribelli musulmani che li hanno perseguitati: «Oggi Gesù ha il loro volto»
Perdonare i propri persecutori. È il difficile compito che stanno portando avanti i cattolici di Bangui, capitale del martoriato Centrafrica, dove a marzo dell’anno scorso è scoppiata una sanguinosa guerra civile. L’arcivescovo di Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga (foto in alto), ha invitato tutti i cristiani ad aiutare circa 900 ribelli Seleka alloggiati nel campo Beal.
PERSECUZIONI ANTI-CRISTIANE. I Seleka sono mercenari musulmani provenienti soprattutto da Ciad e Sudan che hanno aiutato Djotodia a condurre un colpo di Stato contro il presidente Bozizé il 23 marzo 2013. All’invasione in armi, sono seguiti circa otto mesi di violenze e persecuzioni contro i cristiani, che rappresentano il 90 per cento della popolazione. In seguito alla violentissima reazione delle milizie animiste anti-balaka, che hanno cominciato a massacrare i musulmani per vendetta, le forze di pace internazionali sono riuscite ad evacuare parte dei Seleka dal paese. Molti sono invece stati portati nel campo Beal, aperto a dicembre 2013.
MEDICINE E VIVERI. L’arcivescovo di Bangui ha guidato lunedì 24 novembre una delegazione di cristiani nel campo, portando vestiti, medicinali e generi di prima necessità agli ex ribelli. «Qui al campo vivono uomini, donne e bambini. Per me, che sono un uomo di Dio, questi sono tutti figli di Dio, esseri umani che il Signore ha creato a Sua immagine e che io ho il dovere di incontrare».
«GESÙ ASSUME IL LORO VOLTO». Il discorso e la carità di monsignor Nzapalainga non sono scontati se si pensa che fino a pochi mesi fa quelle persone erano le stesse dalle quali i cristiani dovevano nascondersi. «Sono già tre giorni che passo qui vicino e vedo la miseria di queste persone. Non potevo restare indifferente. Ecco perché ho lanciato un appello a tutti i cristiani per dire loro di venire qui a incontrare i nostri fratelli. Nel vangelo di Matteo, Gesù dice che chi vestirà “uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avrà fatto a me”. Oggi, per noi cristiani Gesù assume il volto di tutte le persone che sono là».
PERDONO E CARITÀ. Da mesi la Chiesa cattolica cerca di riconciliare il paese attraverso il perdono e la carità. Così a Bozoum i poveri abitanti hanno portato a circa 200 musulmani della zona «manioca, arachidi, altri prodotti e ben 70 euro». A Bossemptele, padre Bernard Kinvi ha salvato la vita nella sua missione a circa 1.500 musulmani, nascondendoli dagli anti-balaka. La stessa cosa ha fatto padre Federico Trinchero nella capitale, dove ha ospitato nel suo convento seimila profughi islamici, e monsignor Eduard Mathos nella cattedrale di Bambari, dove ha dato rifugio a 12 mila musulmani. Anche padre Xavier Fagba ne ha protetti almeno 650 nella sua chiesa nella città di Boali.
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Sauditi e emirati del Golfo finanziano moschee e cellule terroristiche potenziali anche nell’Ue: ma chi (stra)vede compolotti anche dove non ce n’è bisogno, non si lamenta di questo. Che l’immigrazione sia uno strumento per una lenta trasformazione dell’Europa sempre più condizionata dalla presenza massiccia di islamici, non importa: e non importa se ciò avviene in contrasto o in conseguenza di Piani, punti e rette a geometrie e geografie variabili. o non, piuttosto, in ossequio a accordi documentati da un’ebrea – e quindi, chi se ne frega della realtà di tutto questo, rispondono i paranoici.
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Contro questo piano di destabilizzazione occidentale-saudita vi è l’azione di uomini di Dio come l’Arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga che in una intervista dell’agosto 2013 diceva :
“Abbiamo creato una Piattaforma, un presidio permanente di cui facciamo parte noi cristiani, cattolici e protestanti, ed i musulmani. Scriveremo tutti insieme una lettera al presidente della Repubblica Centrafricana per chiedergli di garantire la pace e la sicurezza nel Paese. Questo dimostra che non sono le religioni a dividerci: la crisi è politica……Abbiamo incontrato la gente, per capire cosa sta succedendo e valutare insieme la situazione. Nei villaggi di periferia anche molti musulmani hanno subito degli attacchi. Abbiamo spiegato a tutti i fedeli che con le armi non risolve nulla. Dobbiamo fermare le violenze e parlarci, per affrontare i problemi…..Tutti i comandanti militari di Seleka sono musulmani e non sono centrafricani: vengono dal Sudan o dal Ciad e parlano arabo, mentre noi parliamo sango e francese”.
La denuncia di monsignor Nzapalainga non lasciava spazio a dubbi: quella che si stava combattendo era una guerra di occupazione, coperta da motivazioni religiose.
A fine giugno del 2013 la Conferenza episcopale del Paese scriveva una lettera molto dura in cui denunciava “L’ardore e la determinazione con cui elementi di Seleka hanno profanato i luoghi di culto ed i beni cristiani, minando la coesione sociale. Tutto questo risponde ad un’agenda nascosta?”. La lettera, compresa la domanda perentoria, è stata letta da monsignor Eduard Mathos al Presidente Djotodia, in occasione di un incontro con tutti i vescovi del Centrafrica, a fine giugno. “Il Presidente ci ha garantito che questi disordini non rispondono ad un progetto di islamizzazione del Paese. Intanto però, abbiamo dei politici che cavalcano l’onda dell’Islam per raccogliere consensi”.