C’è un’Emilia che resiste dopo il terremoto (e invoca la no-tax area)

Di Chiara Sirianni
18 Luglio 2012
Il Comune di Carpi sollecita il presidente della regione Vasco Errani. I sindaci chiedono maggiori poteri. E le imprese come la Gambro non si arrendono

A due mesi dalle tragiche scosse che hanno flagellato l’Emilia la terra ha ricominciato a tremare, pur senza far danno a persone e a cose. E contemporaneamente prosegue la polemica tra maggioranza e opposizione, divise sull’ipotesi di istituire una No tax area nelle zone colpite dal sisma. Nonostante il via libera della Camera dei deputati, che si è impegnata a trattare con l’Europa per contribuire alla rinascita di una delle zone industriali più importanti d’Italia. Il presidente della regione Vasco Errani si è detto perplesso, dato che si tratta di una strada impercorribile e «poco realistica in tempo di crisi». Errani lo ha detto precisando che la proposta di istituire zone franche è «regolata da norme comunitarie. Per l’Aquila lo chiese a suo tempo il Governo di allora e, dopo anni, la Commissione europea ha respinto la richiesta. Abbiamo il decreto, concentriamoci su altri interventi».

Il capogruppo Pdl in provincia di Modena, Dante Mazzi, ha invece parlato di «ostinazione incomprensibile» da parte del Pd. Nel frattempo le imprese sembrano ben consapevoli che gli aiuti non basteranno a coprire le perdite subite. E forse qualcosa nella zona sta cambiando. Lo scorso giovedì il consiglio comunale di Carpi, la città più popolosa e importante tra quelle colpite dal terremoto, ha votato (all’unanimità) un documento in cui si chiede alla Regione di accelerare il più possibile i controlli sugli edifici, di completare la ricognizione dei danni causati dal sisma e soprattutto di valutare sin d’ora ed in ogni caso le richieste di fiscalità agevolata o di vantaggio per le zone colpite dal sisma, «come promosso da sindacati, associazioni di categoria, nonché dagli stessi sindaci dei Comuni terremotati. Tra le opzioni deve essere presa in seria considerazione l’ipotesi di no tax area, fermo restando che non deve essere l’opzione esclusiva rispetto ad altre o impedire altri percorsi di sostegno concreto e rapido alle popolazioni e alle imprese colpite».

Sono in molti a invocare più potere ai sindaci, vista la poca reattività degli uffici regionali. Per esempio Maurizio Poletti, lista civica di Finale, secondo cui «è il momento che i primi cittadini dimostrino di essere sindaci delle proprie città. Anche dicendo in faccia ad Errani quello che non va, anche consorziandosi per avere più forza decisionale». Nel frattempo ci sia aspetta un sostegno per l’accesso al credito di imprese e cittadini, uno degli elementi fondamentali della ricostruzione. E mentre proseguono le verifiche presso i maggiori istituti bancari operanti sul territorio, le imprese si organizzano. Enrico Biscaglia, il direttore generale della Cdo, ha recentemente richiamato a un’ideale di amicizia operativa, pur chiedendo al governo «sicurezza, perché le scelte urgono adesso». Ma non basta: «Anche il miglior decreto resta lettera morta senza una presa di responsabilità personale. È in questo che vorremmo aiutare, affinché questa responsabilità possa crescere. Non abbiamo nessuna bacchetta magica, ma una svolta positiva può accade solo se ognuno inizia a fare qualcosa che prima non faceva. Senza questa concretezza c’è spazio solo per la lamentela e la demagogia. Mentre noi siamo qui per costruire, assieme, e guardare con cuore agli strumenti che abbiamo».

La Gambro-Dasco è uno dei tanti esempi di approccio attivo e partecipato. Multinazionale svedese del biomedicale, è  impiantata a Medolla (Modena), uno degli epicentri del sisma. «Ho visto con i miei occhi un operaio restare appeso gancio di una una gru», racconta il vicepresidente Francesco Coppi (in foto, assieme al coordinatore del Tavolo Nazionale sulla sanità di CPO Pasquale Chiarelli). «L’accelerazione al suolo è stata superiore a quella di Fukushima. Alcuni si sono salvati perché hanno indovinato la colonna sotto alla quale ripararsi. Casi del genere ce n’è decine e decine, la devastazione è impressionante: basti pensare che su 64 stabilimenti, nella sola Cavezzo, 60 sono da abbattere». Nonostante ciò, di abbandonare l’area non se ne parla. «Il biomedicale è uno dei principali settori industriali della regione. Stiamo organizzando un approccio sistematico per restare in zona. Altro che delocalizzazione: ci spostiamo di qualche chilometro, temporaneamente, a Crevalcore. Un primo fondamentale passo per la ricostruzione. Abbiamo previsto un’indennità ai lavoratori modenesi, in trasferta nel bolognese». Ma gli uffici centrali restano dove sono sempre stati. Nell’edificio rimasto in piedi e nei prefabbricati. Perché? «Per dare un segnale. Riforniamo la metà degli ospedali italiani, abbiamo aperto nuove strade alla cura in dialisi. Lo stabilimento impiega 800 persone. Per la maggior parte siamo tutti cresciuti qui, e attorno a noi è germogliato un indotto». Senza dimenticare che si riparte anche e soprattutto dal senso di comunità: «Bisogna ricostruire anche le scuole. E le chiese. Carpi è il comune più colpito, 47 chiese su 50 sono inagibili, tre sacerdoti sono morti. Altrimenti nel giro di dieci anni avremo delle bellissime fabbriche, ma nessuno disposto a viverci».

@SirianniChiara

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