Cavour? Un amico (o quasi) di Pio IX

Di Tringali Massimo
29 Settembre 2000
L’Italia unita di Cavour era l’Italia del compromesso tra partito della religione e partito d’Azione. Uomo di mondo e di gioco d’azzardo, anche il Conte ebbe le sue belle crisi etiche sulla cosiddetta “guerra di indipendenza”. Breve profilo di un liberale morto con tutti i crismi (cristiani)

Ma è proprio vero che il liberale Camillo conte Benso di Cavour era un fiero assertore della guerra di indipendenza e un laicista oppositore di Pio IX? Guardiamo a qualche fatterello pubblico e privato utile a delineare il profilo del patrono laico dell’unità italiana.

Un liberale moderato e mediatore
Quando si riunì alla fine di gennaio del 1861 a Torino il primo Parlamento dell’Italia unita la presenza dei rappresentanti del partito piemontese era massiccia: tra essi vi era anche il cattolico Alessandro Manzoni. Rimasero, invece, esclusi mazziniani come Guerrazzi e Cattaneo, i quali però non tardarono a costituire un partito che riuniva tutti gli elementi radicali anticattolici e giacobini, con il nome di Partito d’Azione. Il loro primo obiettivo era la conquista armata delle due regioni italiane rimaste ancora sotto il dominio degli antichi signori: Venezia e Roma. Soprattutto la conquista della città eterna era caldeggiata onde consacrare l’unità della Nazione. Camillo Cavour non poteva non dare una qualche soddisfazione a questa componente rimasta fuori dal Parlamento. Così pochi giorni dopo l’approvazione della legge 14 marzo che dichiarava Vittorio Emanuele Re d’Italia, si adoperò perché il Parlamento votasse “Roma capitale, acclamata dall’opinione nazionale, fosse resa all’Italia”. Non disperava che il Pontefice si sarebbe “adattato” alla nuova situazione, accettando una formula che, nelle intenzioni di Cavour, avrebbe salvato l’alto ministero spirituale. In questo modo forse si sarebbe evitata la breccia di Porta Pia.

Debiti e Jockey club
Il conte Camillo Benso di Cavour era un uomo ambizioso e concreto nella gestione degli affari. E tuttavia capace di grandi atti di generosità: elargiva somme di denaro ai poveri, si preoccupava degli orfanelli, e addirittura pagava, naturalmente in segreto, le multe che i tribunali infliggevano a chi lo oltraggiava sulle pagine dei giornali. Lo stesso Pio IX lo considerava migliore del fratello il marchese Gustavo Cavour, benché quest’ultimo fosse un apologeta cattolico ortodosso e praticante, seguace di Rosmini e Manzoni. A sottolineare la diversità di carattere e di interessi dei due fratelli, il padre Michele spesso ripeteva che tra i due suoi figli aveva diviso l’universo, essendo toccati i noumena a Gustavo e i phaenomena a Camillo. Questi scriverà a diciotto anni allo zio de Sellon di aver ceduto largamente alla tentazione del gioco. Passerà dal gioco prediletto del goffo e del whist praticato nei salotti torinesi o parigini a quello più grande e rischioso della borsa e degli affari. Nel 1837 Camillo fu due volte a Parigi e una terza nel ‘38 presso la zia Victoire. Egli poté così entrare nel bel mondo di Parigi: mangiar bene, frequentare i migliori alberghi, abbigliarsi da un sarto costoso e recarsi alle corse a Chantilly. Al gioco aveva perso a Torino una grossa somma di denaro. Camillo era realmente disperato per questa sua dipendenza dal gioco. Sta di fatto che chiese e ottenne dal più benestante fratello Gustavo un prestito per pagare un debito. Tuttavia continuò a frequentare i tavoli del Jockey club, al punto che nel corso di una serata arrivò a puntare una somma di denaro superiore alle sue entrate di un anno di lavoro.

Quel nipote morto a Goito
Fu il barone Severino Cassio che “innestò” in Camillo opinioni liberali, al punto che il padre minacciò di mandarlo “a morire di fame in America”. Quando la madre dei fratelli Cavour, Adele de Sellon, morì nel 1846, il primogenito di Gustavo,Augusto, ereditò gran parte del lascito testamentario della nonna, “riparò” a ciò che ai suoi occhi sembrava un’ingiustizia, lasciando allo zio una cospicua fortuna. Camillo vi rinunziò passando il denaro a Gustavo per risarcire un vecchio debito di gioco. Ma volle a tutti costi conservare, in un’urna di vetro posta sotto il suo letto, l’uniforme ancora macchiata di sangue di Augusto, morto nella battaglia di Goito nel maggio del 1848. Fu questa la tragedia più grande che capitò a Camillo. E tale sventura lacerò a lungo i rapporti con Gustavo, contrario alla guerra di indipendenza. Camillo, invece, era favorevole, come scrisse il 21 marzo in un articolo apparso sul periodico da lui fondato Il Risorgimento. Egli sosteneva la necessità dell’intervento anche per evitare una diffusione di repubblicanesimo dalla Lombardia al Piemonte. Augusto dal fronte aveva scritto a casa segnalando la totale incompetenza degli ufficiali dell’esercito di Carlo Alberto e la mancanza di motivazioni presso la truppa. Fu allora che lo zio commentò coraggiosamente sulle pagine del Risorgimento le gravi deficienze militari segnalate dal nipote, mettendosi in urto con l’alta aristocrazia sabauda a cominciare da Cesare Balbo (all’epoca primo ministro e che si era trovato sul punto di assumere poteri dittatoriali dal momento che la monarchia indugiava dall’intervenire in Lombardia). Alla notizia della morte di Augusto, Camillo, che si trovava alla redazione del giornale, come testimonia uno dei collaboratori del Risorgimento, si accasciò sul pavimento in preda a grande dolore e sgomento. Si noti che il massone Cavour in punto di morte volle ricevere i Sacramenti. E che fu inumato nella cappella del Palazzo Cavour accanto all’amatissimo nipote Augusto, morto in una guerra di indipendenza della cui bontà e nobiltà il conte Camillo Benso di Cavour forse era meno persuaso di certi suoi attuali mentori.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.