Cari pro life, cercate di essere un po’ più furbi
Articolo tratto dal numero di luglio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Nel mese scorso la Regione Umbria è assurta agli onori della cronaca per un provvedimento della Giunta regionale, a guida Donatella Tesei (Lega), che prevede il ricovero ospedaliero di tre giorni in caso di aborto farmacologico, tanto è bastato a scatenare aspre polemiche e l’intervento del ministro della Sanità.
La premessa è che nel dicembre 2018 la giunta di centrosinistra, esercitando la propria autonomia legislativa in ambito sanitario, si è discostata dalle linee guida ministeriali vigenti dal 2010 e ha deciso di consentire gli aborti tramite somministrazione di Ru486 in regime di day hospital e prosecuzione del trattamento con assunzione autonoma di farmaci da parte della paziente presso il proprio domicilio. Nel 2020, in fase 1 dell’emergenza sanitaria per Covid-19, per evitare rischi di contagio, la giunta di centrodestra ha consentito l’aborto domiciliare fino a nove settimane. L’11 giugno 2020 la stessa giunta nella delibera in cui si indicavano le nuove linee di indirizzo sanitarie per la fase3 dell’emergenza Covid ha abrogato l’aborto in day hospital, uniformandosi alle linee di indirizzo ministeriali, che indicano per l’Ivg con metodo farmacologico il ricovero ospedaliero in ogni sua fase, fino a completamento della procedura, ricalcando le previsioni dell’articolo 8 della legge 194 per l’aborto chirurgico.
Per approfondire il merito dei provvedimenti rimando ad alcuni articoli pubblicati su tempi.it. Mi preme invece sottolineare il metodo che ha portato alla bagarre. In fase di emergenza sanitaria la Regione ha preso provvedimenti aperti addirittura all’aborto domiciliare. Legittimo naturalmente correggere i provvedimenti errati e prevedere buone prassi per il tempo ordinario, per questo riteniamo opportuna la delibera regionale che consente l’aborto farmacologico in condizioni di maggior sicurezza per la donna. L’associazione Esserci ha emanato a riguardo un comunicato stampa di sostegno.
Questa non è però una vittoria della vita, si tratta di una miglior tutela della salute della madre, ma per il feto non c’è differenza, sempre di aborto si tratta. È alla luce di questa semplice considerazione che sembrano inopportuni certi toni trionfalistici che hanno fatto seguito al provvedimento regionale. Le grida di esultanza e i toni di sfida di alcuni politici nazionali hanno innescato la reazione violenta delle parti avverse, per prima la Cgil e di seguito una miriade di sigle associative femministe, studentesche, partitiche compattatesi in una manifestazione di piazza, svoltasi il 25 giugno, in cui le rivendicazioni erano le più varie: diritto all’aborto, come se qualcuno lo avesse messo in discussione; diritto alla sanità pubblica, come se un ricovero ospedaliero lo contraddicesse; attacchi alla Chiesa, che non si era neanche pronunciata. La vicenda è stata riportata dai maggiori media nazionali come la rivolta dei valorosi illuminati contro la Giunta oscurantista, la resistenza dei sostenitori dei diritti civili contro il potere che schiaccia la libertà individuale.
La presidente Tesei si è difesa da questo tsunami mediatico dicendo che si è solo uniformata alle linee guida ministeriali e si è detta pronta a modificare il provvedimento non appena queste dovessero cambiare. Nessun accenno al piano valoriale, né all’autonomia regionale in materia di sanità, che potrebbe anche giustificare una deroga ad eventuali nuove linee guida. Oltre al discutibile risultato sul piano della comunicazione, l’aspetto più grave della vicenda è che il ministro Roberto Speranza ha chiesto al Consiglio superiore di sanità di riesaminare le linee guida in materia di aborto e ora, per settembre, attendiamo un parere che potrebbe favorire l’aborto in day hospital e a domicilio come criterio prioritario a livello nazionale. Riguardo al metodo, c’è da chiedersi se non fosse stato più opportuno esprimere soddisfazione per un provvedimento corretto, legittimamente preso dalla giunta all’unanimità, secondo le linee guida ministeriali, la cui finalità è la miglior tutela della salute della donna, piuttosto che gridare alla vittoria di una battaglia valoriale, dal momento che non c’è stata nessuna messa in discussione dell’aborto o della legge 194.
Si è riaccesa una battaglia ideologica, sollevando un polverone mediatico quasi si fosse in campagna elettorale permanente, per poi ridimensionare le scelte politiche ad atto amministrativo quasi dovuto, pronto ad essere rimesso in discussione, e, effetto ancor più grave, aprendo al rischio concreto di cambiare le linee guida del ministero. Non sempre paga spostare con leggerezza lo scontro sul piano valoriale quando non ci sono le premesse oggettive. Sarebbe più efficace, per marcare una differenza politica rispetto al governo umbro precedente, adottare provvedimenti in favore delle gestanti in difficoltà, sostenere le mamme nella loro scelta in favore della vita. La buona politica è vincente alla prova dei fatti e difficilmente gli avversari politici potrebbero riempire le piazze contro. Ci sono le premesse, restiamo fiduciosi che azioni concrete arrivino presto.
Foto Ansa
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