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Cari fratelli nella fede, alziamo lo sguardo

Lettera aperta ai ciellini, che un po' si perdono via sui social in discussioni infruttuose sulle regole. «Non annacquiamo l'enormità del nostro carisma»

Peppino Zola
30/03/2022 - 17:17
Chiesa
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Luigi Giussani

Caro direttore, scrivo a te, caro amico, anche se, in realtà, la lettera vorrei spedirla a tutti i fratelli e a tutte le sorelle che condividono con me l’esperienza di Comunione e Liberazione: e vorrei scrivere loro perché l’incontro fatto con il Movimento nato intorno a don Giussani è stato così determinante per la mia oramai lunga vita (ho superato gli ottant’anni dei “più robusti” del salmo) che non riesco a rimanere indifferente rispetto al pericolo di vedere dei fratelli e delle sorelle nella fede perdere tempo rispetto al cuore intimo della nostra esperienza.

Dopo avere avuto per tre anni don Giussani come insegnante di religione al liceo Berchet, sono entrato “definitivamente” nel Movimento (allora nella forma di Gioventù Studentesca) nell’autunno del 1958 e quindi sto appartenendo a questa straordinaria storia da ben 64 anni, dato che don Giussani, come ho già avuto modo di scrivere, mi ha buttato in una vita intensa e avventurosa, di cui sono e sono sempre stato immensamente grato al Signore, che ha avuto pietà dei miei limiti. E mi ha permesso di “non stare mai tranquillo”, come lo stesso don Gius ci ha augurato al termine di un suo memorabile intervento al Meeting di Rimini.

E sono stati anni attraversati, insieme ad avvenimenti esaltanti, anche da momenti di grande difficoltà (per esempio la lacerante divisione del 1968), che però non ci hanno mai impedito di guardare lietamente al punto essenziale della nostra esperienza, cioè Cristo stesso, vissuto nell’appartenenza alla comunione come dono totalmente gratuito. Ma allora, perché ho pensato di scrivere agli amici ed alle amiche dal popolo a cui appartengo? Perché ho intravisto un pericolo (anche se, d’altra parte, sono commosso dalla testimonianza di una vita cristiana eroica vissuta da molti amici). Mi spiego.

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Come sappiamo, Santa Madre Chiesa ci ha chiesto di aggiornare le regole che tengono insieme gli iscritti della Fraternità di Comunione e Liberazione e tutti noi siamo stati giustamente coinvolti in questo cammino, richiestoci per aumentare la coscienza con cui viviamo la nostra fede. Questo cammino è fatto anche di passaggi “tecnici” che riguardano la stesura di uno statuto aggiornato, mentre la vita del Movimento deve continuare senza alcuna interruzione, affinché il nostro contributo alla Chiesa non venga meno neppure per un secondo.

Come in tutte le cose umane, può accadere che alcuni di questi passaggi non siano sempre semplici. Ecco, sui social ho visto degli amici soffermarsi pubblicamente su alcuni di questi passaggi, con giudizi e osservazioni poco fraterni e comunque esagerati, in modo tale da correre il pericolo di annacquare la comunione esistente (comunque) tra di noi. Viene spesso ricordato un detto di qualche saggio orientale, che dice più o meno così: “quando un dito indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Ho pensato di scrivere queste righe per aiutarci a fare memoria della “luna”, cioè dell’essenziale della nostra esperienza, che ci aiuta a dare il giusto posto anche a possibili errori che possano essere commessi. In poche parole, vorrei invitare me stesso e tutti gli amici a tenere lo sguardo fisso sulla sostanza della nostra vita e della nostra esperienza cristiana, senza farci troppo distrarre da problematiche importanti, ma secondarie rispetto alla “luna”. Lo sguardo alla sostanza ci farebbe vivere con più serenità (ed anche con un po’ di ironia) certi passaggi “tecnici”, che pure sono necessari.

La Grazia del Signore ci ha fatto incontrare un carisma eccezionale, impersonato da un gigante della fede (ora sempre più riconosciuto come tale), che, precedendo ogni analisi sulla “crisi” della Chiesa, ha avuto il coraggio di riannunciare la presenza eccezionalmente “nuova” di Cristo ad un mondo che già aveva iniziato ad allontanarsi dal cristianesimo (approfittando anche del fatto che molti cattolici avevano, in sostanza, vergogna di parlare direttamente di Gesù, il che, peraltro, è una tendenza normale nella storia cristiana).

A pagina 162 della monumentale Vita di don Giussani scritta da Alberto Savorana possiamo leggere queste parole di don Giussani: «Me lo ricordo come fosse oggi: liceo classico Berchet, ore 9 del mattino, primo giorno di scuola, ottobre 1954. Mi ricordo il sentimento che avevo mentre salivo i pochi gradini d’entrata al liceo: era l’ingenuità di un entusiasmo, di una baldanza, che mi aveva fatto lasciare la pur amata strada dell’insegnamento della teologia nel seminario diocesano di Venegono per poter aiutare i giovani a riscoprire i termini di una fede reale».

E Savorana aggiunge che «Giussani si rivedeva in quel momento, “con il cuore tutto gonfio dal pensiero che Cristo è tutto per la vita dell’uomo, è il cuore della vita dell’uomo”». Nello stesso prologo dell’attuale statuto della Fraternità viene riaffermato che il carisma donato a don Giussani è caratterizzato dalla «insistenza sulla memoria di Cristo come affermazione dei fattori sorgivi dell’esperienza cristiana…»; dalla «insistenza sul fatto che la memoria di Cristo non può essere generata se non nella immanenza ad una comunità vissuta» e dalla «insistenza sul fatto che la memoria di Cristo inevitabilmente tende a generare una comunionalità visibile e propositiva nella società».

Tre grandi parole, dunque, hanno investito tutti coloro che hanno incontrato il Movimento: Gesù Cristo, Comunità (o comunione, amicizia, compagnia) e impegno nella società. A fronte di questa grandiosa proposta che don Giussani ci ha fatto e ci continua a fare, capite, caro direttore e cari amici e amiche nella fede, come sarebbe almeno sproporzionato farci distrarre da fattori che, ripeto, sono importanti, ma che lo sono se ci aiutano ad essere più fedeli alla responsabilità missionaria che don Giussani ci ha testimoniato con tutta la sua vita, anche quando la salute non lo aiutava più. Anche perché don Giussani non ci ha lasciati soli con questa nostra responsabilità, ma ci ha tracciato una strada e cioè un metodo che sarebbe imperdonabile dimenticare.

Lo ha fatto quando ci ha ricordato che la vera e reale vita cristiana è tale quando vive tre dimensioni: cultura, carità e missione. Nel libro Il cammino al vero è un’esperienza, don Giussani chiarisce che nessuna di tali dimensioni può essere messa in secondo piano, perché l’integralità di tali dimensioni in ogni gesto umano e cristiano «è questione addirittura di vita o di morte per il gesto stesso; poiché senza l’impostazione almeno implicita di tutte le sue fondamentali dimensioni, il gesto non è povero, ma addirittura manca di verità», perché la verità è Una e non può essere spezzettata. Con la cultura noi abbiamo la responsabilità di «offrire agli uomini il significato di tutto», da cui dipende ogni giudizio; con la carità, la tenerezza di condividere il bisogno che incontriamo; con la missione l’eliminazione di ogni limite alla nostra presenza ed al nostro annuncio, perché abbiamo avuto il mandato di andare fino ai confini del mondo.

Cari tutti, mi sono buttato a scrivervi perché ho l’impressione che noi rischiamo, al di là dell’obbedienza con cui dobbiamo velocemente rispondere a ciò che la Chiesa ci chiede, di annacquare e ridurre l’enormità del richiamo che il nostro carisma ci ha fatto con tutte le dimensioni di cui sopra e con il metodo che ne deriva. In questo senso mi e vi pongo alcune domande. Ci impegniamo veramente nel formulare e nel trasmettere il giudizio di Cristo ai nostri fratelli uomini? Condividiamo veramente con affezione e carità i bisogni che incontriamo sia nel mondo che tra di noi (e, ripeto, in molti casi la testimonianza che riceviamo è grandiosa)? Abbiamo la preoccupazione di andare ai posti di lavoro con lo stesso fervore e ardore con cui don Giussani è salito sui gradini del Berchet? Almeno tentiamo che nel nostro ambiente ci sia una comunità che, attraverso la propria unità, testimoni la presenza di Cristo? La parola “missione” non ci è venuta un po’ estranea?

Tra l’altro, proprio in questo periodo abbiamo una grande opportunità per risvegliarci dalla nostra sonnolenza ed è costituita dal libro di don Giussani Dare la vita per l’opera di un altro, che ci è stato indicato come testo per l’attuale scuola di comunità. Fin dal titolo, il libro pone la vera questione che l’esperienza cristiana pone. Questo enorme testo, se vissuto, letto, capito e verificato con la nostra esperienza di vita, ci indica la modalità con cui vivere le tre dimensioni sopra citate, senza correre il pericolo di farci cadere nelle trappole moralistiche ed etiche: dall’ontologia lì indicataci possiamo trarre nuovo spunto per vivere lietamente e quotidianamente la nostra presenza missionaria.

Cari amici, lasciamo perdere le piccole difficoltà che possiamo incontrare anche tra di noi e guardiamo con “ingenua baldanza” alla strada che il carisma del servo di Dio don Luigi Giussani ci ha tracciato, magari imitando quelli tra di noi che già possiamo considerare “santi” (e ce ne sono tanti).

Con grande affetto ed in comunione,

Peppino Zola

Tags: Comunione e LiberazioneLuigi Giussani
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