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Cambiare. Con perfetta Letizia

Il Moratti-pensiero in pillole. Della scuola non sa che fare e questa è la sua forza. Gl’ideologi a orologeria assisi sugli scranni ministeriali ad applicare teoremi hanno fatto il loro tempo. Il neo-ministro ha deciso di ascoltare per primi coloro che la scuola la fanno davvero. Chiedendo una cosa sola: che anche a scuola si possa (co)educare di Roberto Persico

Persico Roberto
31/08/2002 - 0:00
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«La controriforma della scuola» l’hanno già battezzata i nostalgici dell’era Berlinguer-De Mauro. «Una rivoluzione copernicana», fa eco Francesco Nembrini, responsabile dell’Ufficio scuola della Compagnia delle Opere (vedi box). Non sono ancora trascorsi i fatidici Cento Giorni, e già le prime mosse del nuovo Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Letizia Moratti seminano il panico fra i pasdaran del didattichese burocratico e accendono le speranze dei molti (insegnanti, genitori, studenti) che alla scuola chiedono una sola, semplice, difficilissima cosa: favorire la possibilità di un’educazione libera.

Che idea di scuola ha in mente il nuovo Ministro, che suscita tante opposte reazioni? Paradossalmente, nessuna: «Io non voglio avere una mia idea di scuola», ha dichiarato a Famiglia Cristiana. E proprio qui sta la sua forza. Tutti ricorderanno la celebre uscita di Luigi Berlinguer all’indomani della vittoria elettorale delle sinistre nel ’96: «Erano quarant’anni che aspettavamo questo momento!» Il che significava che, quando approdò in viale Trastevere, Berlinguer non dovette fare altro che tirare fuori dal cassetto i progetti elaborati per quarant’anni dal PCI-PDS e cercare di applicarli. Un’idea di scuola ben precisa, elaborata per decenni da una minoranza ideologica, imposta con forza a tutto il Paese. Niente di tutto questo con la Moratti. Non si è mai occupata direttamente di scuola. Ha scelto di sedersi su una poltrona rovente animata da una sola intenzione: «Vorrei riuscire a creare una scuola nella quale tutti si riconoscano e abbiano pari opportunità». In questi mesi ha parlato poco, ha lavorato molto, soprattutto ha ascoltato moltissimo: ha incontrato studenti, genitori, insegnanti, dirigenti, gestori, per rendersi conto dei problemi e delle attese di tutte le parti in causa. Esemplare una battuta del dialogo con gli studenti al Meeting di Rimini. A Piergiacomo, presidente della Consulta studentesca di Rimini, che le chiedeva che tipo di funzione intenda attribuire alle Consulte degli studenti, ha candidamente risposto: «Mi aspetto che me lo dica tu. Dovete dirmelo voi. Dobbiamo deciderlo insieme». Davvero una rivoluzione copernicana. Il che non significa che un’immagine di scuola non incominci a delinearsi. Si potrebbe cercare di sintetizzarla in tre punti.

Una scuola dell’educazione

«Luogo concreto di incontro fra persone, in cui torni a essere centrale la funzione educativa, con un ruolo di supporto e sostegno alla famiglia, nel difficile compito di essere genitori in una società in cui le preoccupazioni materiali prendono il sopravvento sulle domande di fondo che tutti dovremmo porci», ha detto il Ministro a Rimini. Il perno di una scuola così è l’insegnante, a cui va restituita la sua centralità: «Si è consolidato, nella maggior parte del personale docente, un modello di lavoro a volte privo di significato, di natura impiegatizia non professionale. In questo senso, appare opportuno definire, tempestivamente, uno specifico ambito contrattuale per il personale docente ed una disciplina coerente con la piena attuazione dell’autonomia delle scuole». Tradotto in parole povere significa che ha in mente la fine dell’attuale sistema di reclutamento e avanzamento di carriera degli insegnanti, basato su meccanismi burocratici, in favore di un modello europeo, con gli insegnanti scelti, valutati e remunerati dalle singole istituzioni scolastiche, in virtù delle effettive capacità di insegnamento. Sarà verosimilmente il punto di scontro più duro, perché cozzerà contro la resistenza di larga parte delle organizzazioni sindacali, da decenni dedite solo a garantire il posto di lavoro intoccabile per tutti. Ma certo troverà dalla sua gli insegnanti più preparati, nonché studenti e famiglie, che da una simile riforma hanno tutto da guadagnare.

Una scuola delle pari opportunità

L’espressione ricorre sovente nel discorso programmatico del Ministro alla Camera. «Pari opportunità di istruzione e accesso alla cultura; riteniamo che questo principio di democrazia e di giustizia sociale dell’istruzione sia un principio fondamentale del diritto di cittadinanza. La nostra azione sarà determinata da una visione dei processi educativi e formativi che tenderà a coniugare le antiche contrapposizioni tra equità e competizione, tra valori di giustizia sociale e valori di merito, tra partecipazione e responsabilità; principi che non devono essere contrapposti ma vanno ricondotti a una visione unitaria e coerente: la solidarietà e l’eccellenza. Diritto allo studio e diritto all’eccellenza, dunque, che significa assicurare pari opportunità di accesso all’istruzione ma anche pari opportunità per arrivare al successo».

È qui che trovano la loro collocazione due fra i punti qualificanti del programma del nuovo governo: la valorizzazione dell’istruzione professionale e la parità scolastica. Potenziamento dell’istruzione professionale, perché i giovani hanno diritto a una formazione in vista dell’inserimento nel mondo lavorativo che non sia considerata un canale di serie B, ma abbia tutta la dignità di un percorso di autentica educazione della persona al lavoro. E parità scolastica intesa come possibilità per tutti di attingere a un patrimonio più ricco di proposte educative: «La pari condizione tra le famiglie – un principio che in tutti gli altri paesi tutela da tempo il diritto a scegliere i percorsi educativi più attinenti ai valori individuali e agli obiettivi di realizzazione personale degli studenti – attiene al principio di un sistema integrato nelle sue componenti statali e non, per un reale passaggio alla scuola di tutta la società civile».

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Una scuola della libertà

Il passaggio del discorso al Meeting che più ha attirato l’attenzione dei media è stato quello sulla riforma dell’esame di Stato, che verrebbe affidato a docenti interni ai singoli istituti. Non è ancora definito, ma anche qui la direzione è chiara: insegnanti preparati, che hanno insegnato per anni a dei ragazzi, sono anche in grado di valutarli. Una radicale revisione dell’esame finale è condizione fondamentale per una reale liberalizzazione dei curricoli, e quindi della creatività educativa degli insegnanti e delle scuole.

Rimane in sospeso la grande domanda sul riordino dei cicli: cosa ne farà la Moratti? Probabilmente in questo momento non lo sa nemmeno lei. Ha affidato a un piccolo gruppo di esperti il compito di prospettare alcune ipotesi, poi le verificherà con il mondo della scuola. Se manterrà la promessa di ascoltare chi nella scuola vive e lavora non potrà fare che bene.

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