
Calcio, la premiata ditta “lobby-cento”
Avellino, stadio Partenio, sabato 20 settembre: va in onda l’inferno. Non quello simulato, il traslato terreno dell’apocalisse ad uso e consumo dello scandalismo, ma quello reale, declinato in modo e tempo di bastoni e passamontagna, cinture usate a mo’ di bolas e polizia costretta a fuggire. E di un ragazzo di 19 anni, Sergio Ercolano, strappato alla vita dopo 40 ore di agonia per una partita di calcio. è stata la resa dello Stato in diretta tv: ma di fronte a chi? Parlare di teppismo calcistico, ormai, appare riduttivo, semplicistico. Si tratta di delinquenza, anche parecchio organizzata visto che spostare un migliaio di persone da Napoli ad Avellino in pullman non può essere frutto di spontaneismo, così come sembra necessaria la presenza di “un suggeritore” per convincere duecento e passa persone a indossare un passamontagna per andare allo stadio. I miracolosi effetti della legge anti-hooligans varata la scorsa primavera dal governo sono già esauriti? La richiesta del ministro dell’Interno Beppe Pisanu di inasprire le pene la dice lunga, come l’indignazione del Sottosegretario con delega allo Sport, Mario Pescante, che sfoga con Tempi la sua amarezza. «Come in tutti i tipi di interventi che si vanno a fare in questo Paese, anche per la violenza calcistica è ora di dire basta con i giustificazionismi sociologici: questi sono delinquenti e come tali vanno trattati. Molti spacciano i loro interventi a difesa degli ultras come garantismo, invece è soltanto buonismo a fini di tornaconto elettorale. Nei miei occhi c’è l’immagine fissa di quel brigadiere un po’ sovrappeso e di mezza età, un padre di famiglia, massacrato a sprangate: quell’immagine rappresenta la sconfitta dello Stato, non solo un atto vile. Oggi, dopo quanto accaduto ad Avellino, nessuno rifarebbe i discorsi tenuti pochi mesi fa in Parlamento, gli accorati appelli alla cultura e all’educazione sportiva come deterrente. Ridicoli, il fenomeno hooligan è nato nella patria della cultura sportiva, l’Inghilterra. Il fatto è che loro, a differenza nostra, trattano i delinquenti come tali e li sbattono in galera. Qui invece assistiamo allo Stato che arretra di fronte ai teppisti, in Italia passata l’onda emotiva tutto torna come prima: se dovessimo mettere mano a qualche provvedimento ci troveremmo ad affrontare ancora una volta l’ostruzionismo della lobby ultras del Parlamento, la stessa che ha già depotenziato il decreto anti-violenza votato ad aprile».
Alla camera come in curva sud
Già, perché in Italia – tra l’altro – esiste anche una sparuta ma determinante quinta colonna delle curve nelle istituzioni. Padri fondatori di questo “soccorso politico” per ultras e affini sono due personaggi politicamente agli antipodi ma uniti dalla comune causa in difesa delle curve: Teodoro Buontempo di Alleanza Nazionale e il verde Paolo Cento. A loro e a qualche altro collega, la faziosità è bipartisan, si devono capolavori come la depenalizzazione dell’invasione di campo o dello scavalcamento dei settori oppure dotte disquisizioni a colpi di emendamenti sul possesso e il lancio di fumogeni. Sulla flagranza differita, ovvero la possibilità di arrestare chi si è reso responsabile di atti di violenza entro 36 ore dal compimento del fatto, la battaglia poi è stata campale: risultato, dalle 48 ore richieste si è scesi appunto a 36 depotenziando di fatto l’intero articolato. Esempio concreto: per gli scontri di Avellino sono state fermate 120 persone ma si è compiuto un solo arresto, visto che alle 8 di lunedì mattina il tempo era scaduto. E c’è di più. L’arresto differito vale soltanto sulla base di fotografie o documenti filmati mentre il dispositivo iniziale parlava di qualsiasi tipo di prova (che ovviamente il giudice avrebbe poi valutato nella sua attendibilità), quindi i tempi richiesti per questa verifica o l’imperfettibilità del materiale spesso vanificano il ristretto lasso di tempo concesso per le indagini. Questo lo si deve a un’alternativa allargata della lobby – una specie di intergruppo – che, temendo l’applicazione della norma anche per le manifestazioni politiche, ha fatto muro. Garantismo peloso o coda di paglia? Chi lo sa, certo la genesi del provvedimento la dice lunga. Il decreto legge contro la violenza negli stadi fu infatti approvato dal Consiglio dei ministri il 9 agosto 2001 e prevedeva la reclusione da 6 mesi a 3 anni per i lanci di oggetti pericolosi, la pena massima dell’arresto fino a sei mesi per le invasioni di campo oltre alla possibilità di fermo differito entro le 48 ore successive al fatto. La norma superò l’esame del Senato con l’approvazione del 9 ottobre 2001 ma la Camera, l’11 ottobre, licenziò invece un testo “dopato” dagli interventi della lobby. Il primo, proprio di Teodoro Buontempo, introduceva accanto alla sanzione detentiva anche quella pecuniaria per i casi meno gravi di tifosi violenti o coinvolti in incidenti. Il secondo, di Enrico Buemi (Sdi), cancellava la possibilità di arrestare anche fuori flagranza, entro 48 ore dal fatto, i responsabili di violenza. Mediazioni e ostruzionismi incrociati hanno fatto il resto: il 21 febbraio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo decreto e, come per magia, il lasso di tempo per l’arresto differito è sceso a 36 ore. E le società cosa fanno, oltre ad invocare fondi, decreti spalmadebiti ad hoc o lasciarsi andare a patetici teatrini sulla serie B a 20, 21 o 24 squadre? Quello che possono, dicono loro. Ma, ad esempio, quanto accaduto sabato ad Avellino poteva essere evitato se si fosse prestata maggior attenzione alla vendita dei biglietti. Formalmente, infatti, è vietato vendere tagliandi ai tifosi ospiti nel giorno della partita. E, di converso, non è possibile recarsi allo stadio per i tifosi sprovvisti di biglietto. Questo avviene? No, ovviamente. E per due motivi. Primo: per ragioni di ordine pubblico si tende a far entrare allo stadio tutti, visto che tenere a bada cinquecento ultras fino al termine della partita diventa rischioso e logisticamente impossibile (dove li si mette? chi li controlla? il personale in servizio dentro lo stadio che quindi rimarrebbe scoperto?). Secondo: il timore dell’invenduto, ovvero di biglietti per gli ospiti che restano “sul groppone”, spinge molte società ad infrangere le regole con conseguenze simili a quelle dello stadio Partenio.
Facciamo come la Thatcher
Serve più polizia? Al di là delle valutazioni sociologiche sulla militarizzazione della società, appare impossibile: domenicalmente, infatti, viene dislocato negli stadi italiani lo stesso numero di persone che sono impegnate in missioni di peacekeeping con l’esercito italiano in tutto il mondo: circa diecimila uomini, sottratti a compiti di controllo e prevenzione ben più importanti ed esposti a rischi e umiliazioni di ogni genere. Eppure la ricetta ci sarebbe, ovvero copiare quella imposta dalla Thatcher e sempre citata a sproposito o in sedicesimi dai legislatori di casa nostra. In Inghilterra, infatti, la polizia è praticamente sparita dagli stadi, sostituita dagli steward privati alle dirette dipendenze delle varie società e investiti, durante il servizio, del grado di pubblico ufficiale. Se qualcuno fa qualcosa che non va – e questo in Inghilterra significa tirare una monetina, non massacrare un carabiniere – lo steward prende il signorino, lo pone in stato di fermo, lo accompagna al posto di polizia dello stadio per l’identificazione e il giorno dopo l’hooligan si trova di fronte ad un giudice. Possiamo farlo, in Italia? Quanti steward verrebbero sprangati in un mese? E quanto ci metterebbero gli ultras a far capire alle società che è meglio per loro ammansire i propri dipendenti? Che fare, quindi? «Il problema è che chi picchia un carabiniere non deve solo uscire dallo stadio, deve entrare in galera», chiosa Mario Pescante. La lobby lo consentirà? Dubitiamo, nel segreto dell’urna l’ultras può tradire: meglio non infastidirlo troppo.
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