Calcio, Italia e rock&roll

Di Fred Perri
23 Maggio 2002
Il 31 maggio inizia il Mundial. La festa dei tifosi. E la corruzione delle Federazioni? La crisi delle Società? Il dilettantismo dei Dirigenti? Bagatelle. Dal nostro inviato a Tokyo

E’ arrivata l’estate. La riconosco da tre fatti evidenti. Uno personale (anche se penso condiviso da molti): la tempesta ormonale che mi travolge nel vedere come vanno vestite le ragazze. Due generali. Il primo: non ci sono più girotondi. C’è da andare ad aprire la casa a Capalbio, da dare aria alle stanze (vista Dente del Gigante) a Courmayeur, da lucidare gli ottoni in puro stile ampezzano delle porte della villa a Cortina, da prenotare l’aereo per Olbia e planare a Porto Cervo o zone limitrofe (sugli scogli sardi si girotonda male e poi «ho comprato certi sandalini da sera con dei tacchi e voglio usarli al Billionaire di Flaviuccio»).

Il mondiale della Grande Distanza

Il secondo, che interessa la trattazione di questo articolo: arrivano i Mondiali di calcio, l’avvenimento chiave dell’anno. Stanno per cominciare le “mitiche mattine inseguendo un gol”. Già, una volta c’erano le notti magiche, adesso, trattandosi del Mondiale del Sol Levante (nomen omen), si inizia presto, si finisce presto e, dal Senato della Repubblica alla Fiat che non se la passa troppo bene, si temono botte di astensionismo. C’è chi sposta i turni, chi sposta il week-end, chi sposta gli appuntamenti. Tra i giornalisti c’è chi sposta la data della partenza più in là possibile, perché, a differenza di quello che accadde in America e in Francia, dove nessuno voleva tornare a casa, qui tutti desiderano un veloce rientro alla base. I giornalisti medesimi spaventati, come le nazionali, dall’incognita di un Mondiale bifronte, e i giornali alle prese con la spesa più alta della storia.

Che Mondiale sarà? Sarà il Mondiale della grande distanza. Ormai il calcio, ma anche lo sport in genere, vivono su livelli separati. Sopra ci sono dirigenti, allenatori, giocatori, procuratori, faccendieri, fidanzate dei calciatori. Cioè tutti quelli che ci guadagnano. Sotto ci siamo noi, i fruitori, quelli che parlano di zona, fuorigioco, Roberto Baggio, inno nazionale e tirano fuori la bandiera che non hanno usato neanche per il 25 aprile in attesa che valga veramente la pena. Questi due mondi sono sempre più separati. Lo testimonia proprio questo Mondiale nippo-coreano. Fino a Francia ’98 c’era un solo Paese ospitante e ce n’era d’avanzo. Adesso due. Per allargare l’orizzonte? No, per prendere più sghei. Siccome alla convention che doveva decidere l’assegnazione dell’Evento tra Corea del Sud e Giappone i due stati rilanciavano alla grande, a qualcuno è venuta la bella idea di dire: ma perché non prendiamo due piatti, invece di uno? Aggiudicato.

L’aglio e la Fifa

Si gioca un po’ di qua e un po’ di là. C’è chi porta l’ansiolitico e chi il parmigiano, non sapendo che in Giappone ci sono i migliori ristoranti italiani del mondo non gestiti da italiani. I giapponesi, infatti, non essendo scemi come gli americani, gli inglesi e i tedeschi, non elaborano, copiano alla grande. Ma questa è un’altra storia, come quella del cane che si mangia in Corea. Ci sono gli animalisti sul piede di guerra e nessuno si è preoccupato del vero problema coreano: l’aglio. Tu sali su un taxi all’aeroporto di Seul e quando arrivi in albergo sembri uscito da un piatto di spaghi aglio, olio e peperoncino. Altra storia. Divago. Dunque sopra ci stanno loro, i potenti, i ricchi con le loro beghe per il controllo della torta che hanno spolpato al punto che ne resta ben poca. C’è la Fifa con la sedia traballante del colonnello svizzero, messo in discussione con un dossier di 30 pagine dal segretario generale della Federazione calcistica internazionale, Michel Zen-Ruffinen. Si parla di corruzione, di soldi destinati a sostenitori chiave del colonnello, come il russo Viacheslav Koloskov, di denari impiegati per altri amici pronti a screditare avversari. Si parla del grande buco di 120 milioni di euro derivato dal fallimento della Isl, partner a cui il calcio (come il tennis) aveva venduto i diritti di marketing e televisivi e che si è sbriciolata lasciando i due sport suddetti in mutande. Neanche i pantaloncini. Blatter è stato abbandonato anche da Michel Platini, mentre Issa Hayatou vuol diventare il primo presidente africano del calcio mondiale.

Il calcio, senza tanti discorsi

La crisi internazionale investe anche l’Italia, ovviamente, dove le società di serie A sommano 700 milioni di euro di deficit. Che l’allegria non sia più un valore fondamentale del nostro football lo si capisce dal calcio-mercato. Sono passate due settimane dalla fine del campionato e non si è concluso nulla. Viviamo in un clima surreale: i giornali sportivi sparano acquisti e trattative tutti i giorni, ma non si compra né si vende. Fabio Cannavaro ha salutato gli amici del Parma la sera della finale contro la Juve. Tutti giravano con il suo regalo. Carino, ma lui non s’è ancora mosso. La Lazio ha annunciato che ridurrà del 30 per cento gli stipendi, il Milan del 20. Il Parma di Arrigo Sacchi riparte dai giovani.

Bambole non c’è una lira. E non c’è neanche Baggio (sull’aereo per il ritiro di Sendai). E qui si evidenzia la Grande Distanza. I dirigenti sono dilettanti allo sbaraglio, professionisti solo di facciata e di soldi. I veri professionisti, la vera salvezza del calcio sono i tifosi. A loro di tutti questi problemi, della corruzione, della crisi, non gliene può fregare di meno. Sono già pronti col telecomando, inventano “il brunch calcistico” come prima percorrevano la strada del barbecue al tramonto e della spaghettata a mezzanotte. Cioè sono pronti a un’altra scorpacciata di calcio. A volte penso che sono ingenui, ma in realtà sono gli unici che fanno bene il loro mestiere. Dal calcio vogliono divertimento, passione, discussione tecnica. Non sono moralisti, non sono interessati ai 15 marchi ufficiali che cacciano 20 milioni di euro a cranio per comparire negli stadi del Mondiale. Non sanno neanche chi è Blatter, non sono rimasti sconvolti se Carraro non è entrato nell’esecutivo Uefa o se l’Italia conta sempre di meno nella stanza dei bottoni. Vogliono che conti sul campo. E così tutti gli altri, in tutto il mondo, pronti a smanettare col televisore in queste ore così strane. Sono la vera salvezza del calcio e non solo per i soldi che versano a questi mediocri attori, ma perché mantengono vivo il vero senso del gioco. Una metafora della vita, che, diceva Osvaldo Bagnoli, è come la classifica del campionato che si vede alla Tv, quella spezzata in due. «Se stai a sinistra (dal punto di vista, ndr), vuol dire che le cose ti vanno bene, altrimenti…». Sono pronti ad andare in piazza col bandierone, a fare un girotondo (sano) intorno alla fontana, a lumare le pupe e a godersi la festa. Hanno capito che il calcio, malgrado questi signori che tentano di rovinarlo, è ancora un modo per stare insieme, per divertirsi, per lasciarsi alle spalle la malinconia. Senza tanti discorsi.

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