
Boscoletto: carcere e pena equa. E quella domanda: «Perché non ti sei voluto bene?»
Carceri e detenuti, temi che in Italia suonano sempre attuali rafforzati da numeri e racconti di una realtà sempre più al collasso (sono 65 mila i reclusi, per 205 istituti penitenziari) di cui però, purtroppo, si parla solo in occasione di vicende scioccanti. Su Avvenire di oggi un lungo editoriale di Nicola Boscoletto, presidente dell’Officina Giotto che opera nel carcere di Padova, analizza il problema ricordando i due uomini che nemmeno un mese fa fuggivano da due penitenziari diversi (il serial killer Bartolomeo Gargliano fuggito da Genova, e l’ex camorrista Pietro Esposito mai rientrato da un permesso nella struttura di Pescara): «Per fortuna, grazie all’efficienza dei nostri investigatori, i fuggitivi sono stati catturati velocemente. Cosa sarebbe successo se il serial killer fosse tornato ad uccidere? Il film che avremmo visto sarebbe stato un altro. Ma è ragionevole per la nostra società affrontare così un problema tanto importante?»
VENDETTA E SCARICA EMOTIVA. Spesso l’errore che si fa, tanto in chi scrive sui giornali quanto in chi li legge, è valutare il punito in maniera vendicativa e senza alcuna proporzionalità, scordandosi così di quanto diceva già Sant’Agostino rispetto alla pena, che, per quanto necessaria, «deve essere proporzionata alla colpa, non deve avere il carattere di una vendetta né di una incontrollata ed esorbitante scarica emotiva, ma di un atto di ragione commisurato al duplice fine della conservazione sociale e della correzione del colpevole».
«PERCHÈ NON TI SEI VOLUTO BENE?». Ma per tentare di cambiare davvero l’indole di chi sta dietro alle sbarre serve una riflessione ancora più approfondita: «Che cosa vuol dire scontare una pena?», si chiede ancora Boscoletto, che risponde raccontando un episodio successo nel lavoro coi detenuti. «Un ergastolano, grazie a uno dei primi permessi dopo 17 anni di galera tra cui alcuni in isolamento, partecipa con noi a una mostra su esperienza di umanità dalle carceri italiane e dal mondo. Dopo una visita guidata, Rebecca, una bimba di 8 anni, gli chiede: “Antonio, perché prima di uccidere non ci hai pensato due volte?”. Lui trova solo la forza di rispondere: “Sì, Rebecca, hai ragione, dovevo pensarci prima”, scappa dietro le quinte e ci chiede di riportarlo in cella. (…) Dopo 17 anni di carcere quell’uomo ha iniziato a scontare veramente la sua pena solo di fronte alla domanda ingenua di una bambina di 8 anni. Una domanda disarmante, un perché carico d’amore: perché non ti sei voluto bene?».
BERGOGLIO E I CARCERATI. È la storia anche che arriva dal Brasile, di un uomo evaso 12 volte, finché non fu destinato a una struttura gestita da civili: sarebbe potuto fuggire come voleva. Quando un magistrato gli chiese perché invece non lo faceva, la sua risposta fu chiara: «“Dall’amore non si fugge”. Per la prima volta gli succedeva che qualcuno gli volesse bene». Insomma, la correzione passa dall’imparare ad amare prima di tutto sé stessi, guardando con tenerezza alle proprie debolezze: «Come papa Francesco ha raccontato a proposito delle sue telefonate ad alcuni detenuti in carcere a Buenos Aires che andava a visitare quando viveva lì: “Quando finisco, penso: ‘Perché lui è lì e non io, che ho tanti e più meriti di lui per stare lì?’. (…) Perché lui è caduto e non sono caduto io? Perché le debolezze che abbiamo sono le stesse e per me è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare a loro”».
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